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Henry Thoreau, la natura come bene inattaccabile, la disobbedienza per difenderla

La Natura è poesia. I colori che assume, cambiandoli di stagione in stagione, sono la metafora tangibile del Creato in movimento. Vederli mutare fattezze quasi irriconoscibili da un periodo all’altro è un miracolo che andrebbe contemplato e forse aiuterebbe a svelenire i tormenti della modernità.

Apro Colori d’autunno di Henry David Thoreau (Lindau, pp.90, €. 9,50) e la sensazione di un “mondo antico” che si insinua nelle fibre dell’anima è coinvolgente come lo spettacolo delle cromatiche variazioni che s’addensano d’intorno per dispiegare la trama di un racconto naturale del quale l’essere umano è parte significativa. Le erbe porporine, l’acero rosso, l’olmo, le foglie cadute e marcite, l’acero zuccherino, la quercia rossa sono i protagonisti silenziosi di mutamenti tanto radicali da offrire l’impressione che qualcosa di epocale, uguale a se stesso nel tempo, stia per accadere.

“Ottobre – scrive Thoreau – è il mese delle fronde dipinte. È allora che prendono a brillare in tutto il mondo del loro sontuoso fulgore. Come i frutti e le foglie – anzi come il giorno stesso -, poco prima di morire, si vestono di colori luminosi, così fa l’anno prossimo al suo termine: ottobre è il suo cielo al tramonto; novembre il crepuscolo che a quello segue”.

Thoreau riconosce nella Natura la dispensatrice di tutti i necessari beni dei quali l’uomo ha bisogno. La poetica di Walden, il suo capolavoro, nel quale all’esaltazione del bosco tiene dietro l’esaltazione dell’umanità come custode e fruitrice dei doni naturali, si esalta in un libretto come questo dedicato all’autunno che egli non considera, alla stregua della vulgata più grossolana, come una stagione morta, ma di bellezza autentica, se non di preparazione all’inverno che con il silenzioso splendore tiene le coscienze al riparo al chiasso volgare, dalla distrazione innaturale, dalle frenesie che lasciano sul campo vittime delle insolente dispersione.

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L’estetica estrema che connota questo libriccino è poesia autentica che fa da corollario a Mirtilli (Lindau, pp.83, € 9,50), o dell’esaltazione delle piccole cose, che lo scrittore americano dedica a ciò che negligentemente trascuriamo, come i frutti spontanei, i doni della natura che hanno nutrito per secoli generazioni di uomini, donne, bambini, la loro privatizzazione che è un osceno atto di ribellione al Creatore. Tutto, dice Thoreau, si è ridotto a mercificazione, profitto, acquisizione di beni che nessuno ha prodotto: perfino il fluire dell’acqua non ci appartiene più, come quelle insignificanti piangine che sono diventate il cardine di un’industriale sfruttamento che sfregia la bellezza è la Natura.

Thoreau non è un ecologista alla maniera contemporanea, ma un “disobbediente civile” che, per esempio in Resistere (Lindau, pp.85, € 9,50), oppure in Una passeggiata d’inverno o in Camminare (sempre editi da Lindau) esalta in massimo grado la difesa della Natura come bene comune inestirpabile dalla gestione della vita umana.

Nei saggi raccolti in Resistere, l’eredità dei boschi, come pure venne impropriamente definito, denuncia la politica morbida che non è vera politica, fino ad esaltare l’impegno per la difesa radicale dell’individuo e dei suoi diritti, magari fino alpestre o sacrificio. La tutela, la preservazione, la salvaguardia della Natura sono atti d’amore che Thoreau, come teorizza in Walden, esigono una dedizione fino all’estremo sacrificio, se necessario. Scrive in Resistere: “Se potessimo guardare l’alveare umano da un punto di osservazione tra le stelle, di questi tempi percepiremmo un grado di animazione inusitato. Da una parte vedremmo persone che martellano e tagliano, che cuciono pane e fabbricano birra. Dall’altra scorgeremmo gente che compra e vende, cambia denaro e tiene discorsi. Che impressione potremmo ricavare da un’indagine tanto complessiva e imparziale? (…) Non potremmo fare a meno di notare l’inquieto animale per cui la terra è stata concepita, ma dove scorgeremmo un individuo con cui ci dividere l’ammirazione per l’incanto del luogo che abita, ne troveremmo altri di novantanove impegnati a raschiarne la superficie per raccattare un po’ di polvere dorata”.

L’universo di Thoreau è sintetizzato in una sfida per difendere ciò che è intangibile naturalmente. E come tale si dichiara “disobbediente civile”. Nato a Concorde nel 1817 ed i i morto nel 1862, Thoreau fu uno scrittore, filosofo, poeta che influenzò la letteratura politica del suo tempo aderendo al trascendentalismo ispirato da Ralph Waldo Emerson, dal quale si si staccò per dare vita ad una sua corrente, molto più radicale sotto il profilo spirituale e politico. La natura per Thoreau non è un semplice strumento per il raggiungimento di conoscenze ideali di ordine superiore, ma oggetto ultimo della pratica filosofica, principio di benessere esistenziale.

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Le edizioni Lindau hanno omaggiato Thoreau di una splendida graphic novel, curata da Maximilien Le Roy e A. Dan. Intitolata, appunto Una vita disobbediente. Giusta la definizione del filosofo francese Michel Onfray, Thoreau sarebbe un “libertario” e non un “anarchico”. Non condividendo gli ideali progressisti del XIX secolo, come potrebbe rientrare nella seconda categoria che gli è stata arbitrariamente appiccicata? Le Roy lo definisce correttamente: “Contro la mercificazione sempre più accelerata delle società e degli uomini che le costituiscono, contro un produttivismo e una crescita sfrenati, contro il regno di un’oligarchia sulla scena democratica, contro lo strapotere del capitale e della finanza sull’indipendenza e la sovranità dei popoli, contro le espansioni imperialistiche rinnovate nella più totale impunità, l’opera di Thoreau ha sempre qualcosa da fare”.

È vero: indignarsi non basta più. Forse la poesia è più forte, come i colori d’autunno che ci rendono più umani.

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