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Se l’Intelligenza artificiale cambia la sicurezza nazionale. Il report del CeSI

Gli algoritmi stanno già cambiando la nostra realtà e attaccando la nostra sicurezza. In una corsa globale guidata da Stati Uniti e Cina, il modello di riferimento per l’Italia non può che essere quello americano: investimenti in nuove tecnologie, ruolo pro-attivo dello Stato e partnership pubblico-private. È quanto emerge dall’ultimo report del Centro studi internazionali (CeSI), a firma di Paolo Crippa e Filippo Tansini, che anticipa il convegno in programma a Roma il prossimo mercoledì: “Governare la complessità: big data analytics e Intelligenza artificiale per il comparto sicurezza”.

ESISTE L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE?

Per dare un’idea della portata del fenomeno si legge nel report del CeSI, “tra il 2010 e il 2018 l’Intelligenza artificiale è stata citata in più di 1 milione e quattrocentomila pubblicazioni scientifiche, oltre 11mila borse di ricerca, 82mila brevetti e più di 6.500 documenti normativi”. Eppure, “l’intelligenza artificiale non esiste ancora”, notano gli esperti, quanto meno nella sua accezione “forte”, intesa come “un sistema in grado di ragionare autonomamente, imitando il modello della mente umana”. Esiste però l’intelligenza artificiale debole: “Algoritmi di Machine learning (Ml) e soprattutto di Deep learning (Dl) hanno trovato nelle possibilità computazionali contemporanee gli elementi abilitanti per una nuova espressione di un campo di studio avviato più di vent’anni fa; dalle reti neurali artificiali si è passati ad algoritmi di apprendimento automatico e in modo sempre più diffuso e frequente a sistemi di apprendimento neurale profondo”.

TECNOLOGIE GIÀ IN USO

Già quest’accezione debole di intelligenza artificiale è sufficiente a cambiare il concetto di sicurezza. Lo scorso settembre, ricordano Crippa e Tansini, una ricerca condotta dalla National Natural Science Foundation of China e dal National Key R&D Program of China ha proposto “l’impiego di architetture di Deep learning al fine di generare in modo del tutto automatizzato commenti pertinenti ad articoli di cronaca all’interno di portali di informazione online”. In ambito di disinformazione, le stesse tecnologie permetterebbero di “perseguire obiettivi strategici come saturazione dell’orizzonte informativo, inquinamento del dibattito domestico, diffusione di framing favorevoli, polarizzazione del dibattito”, il tutto “con un’attività a basso costo e notevoli ricadute potenziali”. Inoltre, già oggi “reti neurali e algoritmi di Deep learning sono applicati in numerosi ambiti del comparto sicurezza: come strumenti per l’elaborazione di modelli predittivi di crimini in ambiente urbano, al fine di ricostruire le intricate reti formate da relazioni e rapporti tra i componenti di gruppi terroristici o come chiave d’accesso ad una raccolta informativa sempre più vasta e composita”.

LA SFIDA

Eppure, non sono solo rischi quelli che arrivano dalle nuove tecnologie. Di fronte a “un enorme surplus di dati”, tra smartphone, telecamere ovunque e l’Internet dello cose pronto a connettere in rete tutto quello che utilizziamo ogni giorno, “sembra ormai inderogabile la necessità di adottare nuovi strumenti in grado di gestire tale crescente complessità”. Per questo, machine learning, deep learning e intelligenza artificiale rappresentano “una urgente necessità per tutto il comparto sicurezza”. Attualmente, si legge ancora nel report del CeSI, “la sfida non è più o, per lo meno, non più soltanto, quella di analizzare le informazioni disponibili, ma piuttosto quella di discernere le informazioni utili da quelle inutili, trovare un filo di Arianna all’interno di sconfinati labirinti numerici e semantici”.

LA CORSA ALL’IA

È forse per questo che da un paio d’anni si assiste alla “corsa tecnologica all’intelligenza artificiale”. Come ricordano gli esperti, fu Vladimir Putin ad affermare a settembre 2017 che “chi svilupperà la migliore Intelligenza artificiale, diventerà il padrone del mondo”. Difatti, “possedere corroborate capacità di big data analytics a supporto delle attività investigative, di intelligence e ordine pubblico, significa infatti ottenere un considerevole vantaggio rispetto a qualunque soggetto che compia atti illeciti o criminosi, il quale non disponga di sistemi altrettanto complessi che ne facilitino l’elusione”. E così, consapevoli delle opportunità che dischiude lo sviluppo di tali tecnologie, tutti i principali Stati industrializzati sono impegnati da anni in una corsa tecnologica globale, che attrae sempre più capitali”. Eppure, la grande competizione è a due: tra Cina e Stati Uniti.

STRATEGIE A CONFRONTO

Pechino e Washington hanno sul campo due strategie diverse. Il Dragone “agisce come vera e propria cabina di regia per lo sviluppo dell’Intelligenza artificiale, allocando ingenti capitali pubblici e formando talenti all’interno delle proprie state-owned tech companies”. Gli Usa, come gli europei, basano lo sviluppo “sulla libera competizione tra imprese private, che dialogano con l’amministrazione statale cercando di capirne i bisogni e gareggiando per offrire le proprie soluzioni”. Da qui nasce il gap interno all’Occidente, per cui i privati appaiono molto più avanti rispetto alle amministrazioni pubbliche. Come risolverlo? “La partnership pubblico-privata e l’outsourcing di alcuni servizi – propone il CeSI – possono essere lo strumento principe per colmare tale gap”.

SUGGERIMENTI PER L’ITALIA

Il modello di riferimento è quello americano, che vede ad esempio l’azienda Palantir Technology collaborare con Pentagono, Fbi, Cia e altre agenzie nazionali. L’attore privato non solo è in grado di “fornire accesso alle proprie piattaforme (per lo più user friendly, che possono essere utilizzate agevolmente anche da un semplice agente di polizia), ma disloca i propri ingegneri all’interno degli uffici federali per svolgere i compiti più complessi o per supervisionare e coordinare le attività di analisi”. Ciò non elimina il ruolo dello Stato, anzi. “Essendo lo Stato de facto monopolista dei servizi di pubblica sicurezza, dunque principale investitore di risorse nel settore, ci si attende assuma un ruolo sempre più proattivo nello stimolare la ricerca tecnologica”.

In conclusione, spiega il Centro studi internazionali, si può partire da due elementi: “Una esaustiva conoscenza situazionale delle più recenti istanze tecnologiche e un’approfondita analisi delle soluzioni possibili per colmare eventuali gap capacitivi, vagliando anche ipotesi innovative e strade non ancora battute”.

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