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Israele-Egitto, chi vince e chi perde con il nuovo asse del gas

La svolta sul gas nei rapporti tra Tel Aviv e Il Cairo potrebbe avere un rapido effetto domino sulle strategie geopolitiche nel Mediterraneo orientale. Israele avvia l’export di gas verso l’Egitto costruendo così la maggiore cooperazione economica dal Trattato di Pace del 1979.

PIÚ GAS

La firma dei permessi da parte del ministro dell’energia Yuval Steinitz danno il via alle operazioni per il trasferimento dai giacimenti Tamar e Leviathan che si concretizzeranno in quindici giorni. In questo modo Israele prevede di abbandonare il carbone e di rivoluzionare potenzialmente la propria economia, passaggio che si lega a doppia mandata alle strategie dell’Ue sulla diversificazione dell’approvvigionamento energetico: ragionamenti che, in prospettiva, si intrecciano anche ad altri scenari, come a quello siriano in cui l‘Iran potrebbe vedere ridotte le proprie ambizioni per via dei nuovi gasdotti. “La rivoluzione del gas naturale ci trasforma in una potenza energetica e ci offre non solo enormi entrate per il Paese, ma anche una drastica riduzione dell’inquinamento atmosferico”, ha osservato Steinitz.

STRATEGIE

Nel 2018 Israele ha firmato un accordo da 15 miliardi di dollari per fornire all’Egitto 64 miliardi di metri cubi di gas in un decennio, contribuendo così alla costruzione di due macro player regionali energetici. E lo scorso gennaio l’Egitto ha ospitato il suo primo forum regionale sul gas, trasformando una conferenza in una vera e propria vetrina internazionale alla presenza del ministro dell’energia israeliano (per la prima volta dopo la rivolta della primavera araba in Egitto nel 2011). Regista dell’operazione è la Delek Drilling LP, l’azionista di maggioranza nel bacino del Leviatano, il cui CEO Yossi Abu parlando dello scenario egiziano del gas lo aveva definito dal “potenziale infinito”. Questa la maggiore consapevolezza da cui passa la nuova strategia di Israele per esportare più gas, con l’obiettivo ormai non più celato di vendere in Egitto ben più dei 15 miliardi di dollari concordati lo scorso anno.

MESSAGGI

La notizia della firma sui permessi da un lato apre uno scenario estremamente favorevole per Tel Aviv, che si trasforma in avvertimento a chi, come la Turchia, punta a voler essere protagonista del dossier energetico nel Mediterraneo orientale e vede come fumo negli occhi l’iniziativa israeliana. La tattica di voler aumentare le vendite attraverso gli impianti di Gnl nelle località di Idku e Damietta lungo la costa mediterranea, investe anche la presenza della Marina turca nel Mediterraneo orientale a supporto delle perforazioni illegali condotte dalla nave Yavuz, che non solo stanno inasprendo i rapporti con Cipro e Grecia, ma che hanno aggiunto altra tensione a seguito dell’accordo turco-libico sulla Zee.

Ma gli obiettivi israeliani restano ambiziosi, come dimostra la volontà di portare il flusso a oltre 3 miliardi di dollari in obbligazioni entro il prossimo anno. Per fare ciò ecco all’orizzonte la possibilità che Delek acquisti un terminale di gas naturale liquefatto sulla costa settentrionale egiziana.

MEDITERRANEO

L’intera area su cui si affacciano i Paese citati è diventata assolutamente strategica per gli interessi e le alleanze di vari player, anche lontani rispetto allo stesso mare nostrum. Per avere un’idea complessiva della portata dell’affare, è sufficiente analizzare il dato potenziale del Mediterraneo che contiene circa 2.100 miliardi di metri cubi di gas, mentre il consumo Ue nel 2017 è stato di 410 miliardi di metri cubi. A ciò si aggiunga che Exxon e Qatar Gas hanno scoperto un altro gigantesco giacimento di gas al largo della costa di Cipro e l’Eni con Zohr e Noor è ormai diventato un attore protagonista e consolidato.

twitter@FDepalo


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