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Kim non farà scherzi per le presidenziali. Trump accetta il gioco delle parti

La denuclearizzazione è “già” fuori dagli argomenti di discussione tra Stati Uniti e Corea del Nord, dice il rappresentante di Pyongyang alle Nazioni Unite, dunque “non sono necessari colloqui così lunghi”.

È l’ultima di una serie di posture (dichiarazioni, messaggi, fatti, come i test militari) con cui il Nord sta dimostrando il proprio nervosismo per il non-procedere dei colloqui con Washington. Esercizio intavolato con molto trionfalismo lo scorso anno, elevato sul piano politico con i tre incontri faccia a faccia tra Donald Trump e Kim Jong-un, ma attualmente in fase di stallo. Da mesi, a parte qualche uscita laterale dagli Usa e qualche razzo sparato dal Nord, tutto è fermo.

Val la pena chiedersi se l’annuncio — non senza fini propagandistici — del delegato Onu nordcoreano sia in effetti una notizia “breaking”, visto che il motivo di questo congelamento è proprio l’assenza di una visione accomunabile del concetto di denuclearizzazzione.

Per gli Usa deve essere totale e immediata. La satrapia non vuole però smantellare il programma, che è costato fondi sottratti ai cittadini e che ha permesso a Kim di crearsi — grazie alle dimostrazioni di capacità veicolate con i test degli ultimi due anni — la possibilità di sedersi con il presidente americano quasi alla pari.

Trump, commentando l’uscita del delegato onusiano, ha detto: “”Sarei sorpreso se la Corea del Nord agisse in modo ostile, ho un ottimo rapporto con Kim Jong Un. Penso che entrambi vogliamo mantenerlo così. Sa che ho delle elezioni in arrivo. Non penso che voglia interferire con questo”.

Pyongyang in realtà almeno quattro mesi fa ha dato all’amministrazione statunitense una sorta di ultimatum (informale) per sbloccare i negoziati “entro la fine dell’anno”. È un timing simbolico, perché al Nord effettivamente sanno che per Trump il 2020 sarà un anno cruciale, quello in cui riconquistare la presidenza e magari portare in dote ai suoi elettori un grande accordo con un nemico dell’America.

Ma a Washington accettano il gioco delle parti. Ieri il capo del Pentagono, Mark Esper, ha detto ai giornalisti: “Non possiamo commentare tutto quello che dice la Corea del Nord”. Cautela è la parola chiave attorno al dossier in questo momento, nonostante da Pyongyang non si facciano sfuggire occasione per alzare la voce (qualche giorno fa minacciavano gli Usa di ricevere uno sgradito regalo di Natale).

 

 

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