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Tutti i sensi (e i controsensi) del nutri-score per l’alimentazione

Dalla sempre presente polemica sul Mes allo scontro fra le nocciole italiane (poche) e quelle turche (in arrivo, grazie all’abbassamento dei dazi), dalle dimissioni del governo finlandese (che però manterrà come da calendario il proprio semestre) all’eterno ritorno della proposta di chiudere il doppione del Parlamento europeo di Strasburgo. Dalla successione nella carica di garante della privacy in Ue, dopo la prematura scomparsa di Giovanni Buttarelli, alla proposta anti-francese di riforma del processo di allargamento Ue. Sono tante le cose successe questa settimana fra i palazzi di Schuman, ma una, forse, merita un approfondimento perché, ancora una volta, l’Unione Europea prova ad attentare all’integrità di ciò che portiamo sulle nostre tavole. E, si sa, noi italiani, quando ci bacchettano sul cibo, scateniamo tutta la nostra fierezza.

Il lettore, dunque, ci perdonerà se stavolta mettiamo da parte questioni di alta politica per discettare di parmigiani e mozzarelle, ma ciò che bisogna capire è se realmente quella che viene venduta come una rivoluzione nutrizionale nell’etichettatura dei cibi può aiutare il consumatore a mangiare meglio, riducendo l’incidenza generale di malattie legate alla cattiva alimentazione.

Al centro della diatriba sta il cosiddetto “Nutri-score”: un sistema di valutazione dei cibi trasformati industrialmente attraverso una scala cromatica che va dal verde al rosso, abbinata alle lettere dalla A alla E, elaborato qualche anno fa dalla Sanità pubblica francese. Questo “semaforo”, da mettere in bella vista su ogni prodotto, in aggiunta alla tabella nutrizionale alla quale siamo già abituati, ci fornirebbe una risposta immediata alla domanda “Facciamo bene a mangiarlo?”. Cinque risposte possibili, dunque. Se è rosso, meglio mangiarne di meno. Se è verde, via libera. Alimenti ad alto contenuto di sale, calorie, grassi saturi e zuccheri saranno sconsigliati. Al contrario, alimenti con fibre e proteine, frutta e legumi avranno il benestare dell’autorità sanitaria.

Il Nutri-score esiste già in vari paesi Ue come Francia, Belgio, Spagna e Germania, dove vengono applicati sconti alla cassa per invogliare all’acquisto di prodotti “più sani”. La proposta attualmente in discussione prevede l’armonizzazione su tutto il territorio europeo. Ma le opposizioni non sono tardate a manifestarsi. I produttori di alimenti come olio extravergine d’oliva, prosciutto o parmigiano sarebbero penalizzati dall’ottenimento del bollino rosso. E molti altri prodotti che stanno al centro della dieta italiana e che rappresentano l’orgoglio del made in Italy, come la mozzarella di bufala o il pecorino, sarebbero fra quelli banditi. Questo mentre a Parigi piatti precotti come il “Gratin Macaroni et Jambon” di Auchan sarebbero “premiati” con una lettera C. Oppure bevande come la Coca Cola Zero avrebbero addirittura una B. Protezionismo alimentare? Nuove e subdole barriere all’entrata dei prodotti? Sarà, poi, la solita “trovata” dei cugini d’oltralpe per danneggiare le esportazioni delle eccellenze italiane?

Il grande scatenatore della polemica sul tema non poteva che essere Matteo Salvini, seguito a ruota da tutta la filiera dell’agroalimentare che, da Coldiretti a Federalimentari, non ci sta a farsi dare l’esempio dal resto dell’Europa che, quanto a cibo, non vanta le tradizioni culinarie della penisola italiana.

Il leader leghista, intervenendo a Sky Tg24, è insorto: “Un’altra trovata europea per mettere fuorilegge la dieta mediterranea. Quindi niente olio, prosciutto e pecorino romano perché fanno male. Però beviamo Coca zero e Red Bull. Questo è quello che hanno partorito i geni del Mes”.

Oltre al danno, la beffa. Siamo davvero sicuri che il consumatore medio, vagando fra gli scaffali del supermercato, bombardato da un ambiente ridondante di colori, scritte e messaggi pubblicitari, presti davvero attenzione a questi semafori? E se anche lo facesse, chi ci assicura che comprando solo prodotti col bollino verde manterrebbe davvero un’alimentazione equilibrata?

Insomma, senza dover per forza pensare che si tratti del solito complotto elaborato ai danni dell’Italia, resta evidente lo scetticismo sulla reale efficacia di un simile sistema, sponsorizzato con l’idea di orientare i consumatori a comprare meglio e in maniera sana. Non sarebbe meglio, anche in considerazione del tanto sbandierato New Green Deal, favorire le produzioni locali e a km zero? O il consumo di ortaggi e frutta di stagione? O ancora l’acquisto di cibi poco elaborati e di materie prime piuttosto che pietanze precotte, piene di zuccheri, grassi e additivi?

C’è modo e modo per tutelare il consumatore: occorrerebbe rendere il cibo sano fruibile per tutte le tasche e stili di vita, visto che molti non hanno tempo per cucinare la giusta quantità e calcolare l’apporto nutrizionale una platessa al vapore invece che di una salsiccia. Ecco, forse l’idea del semaforo, tanto suggestiva quanto banalmente insoddisfacente, è una soluzione semplicistica per “pulirsi la coscienza”. Non è con il ditino alzato di un’autorità, pronta ad ammonirci “Ve l’avevo detto!”, che si favorisce la diminuzione dei casi di diabete o di obesità in un Paese. L’educazione alimentare richiede uno sforzo molto più intenso.



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