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Mes, facciamo il punto con Pennisi

Il governo potrebbe essere in gioco sulla complessa questione del Meccanismo europeo di stabilità (Mes). Quindi è importante cercare di chiarire i fatti, quali li conosciamo. L’Huffington Post ha chiosato le lacune, sovente di dettaglio, nella relazione al Parlamento del presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Questa testata è stata una delle prime nell’inverno 2018 a commentare la riforma del Mes. Quindi, sembra opportuno riassumere i punti salienti sine ira nec studio in modo che i lettori possano trarre le loro conclusioni.

Una prima bozza di riforma del Mes, nel quadro di un più ampio riassetto dell’unione bancaria europea e dell’avvio del mercato unico dei capitali, è stata discussa dall’Eurogruppo e dal Consiglio Europeo, circa un anno fa. I testi erano disponibili sul sito del Mes (peraltro poco visitato, soprattutto da italiani). Secondo resoconti giornalisti del Corriere della Sera, la riforma (non meglio illustrata) avrebbe potuto facilitare gli istituti bancari tedeschi e francesi ma avrebbe potuto avere serie conseguenze sia per il debito pubblico italiano (se ne sarebbe quasi forzata la ristrutturazione) sia sugli istituti bancari italiani (a ragione di un sistema di valutazione dei titoli di Stato e a un calendario accelerato per rientrare da insolvenze e incagli).

Sono seguiti approfondimenti che hanno mostrato altri aspetti preoccupanti della bozza. Dal sito della Presidenza del Consiglio non risulta che l’argomento sia mai stato all’ordine del giorno delle sedute del Consiglio dei ministri; dai comunicati non risulta che sia mai stato discusso tra le varie ed eventuali. Lo stesso ministro dell’Economia e delle Finanze Giovanni Tria ha chiarito, in una recente intervista, di non averne mai parlato con i vice presidenti del Consiglio e gli altri colleghi. È plausibile pensare che l’argomento sia stato allora sottovalutato, e preso un po’ sottogamba, dato che il governo era alle prese con un complesso negoziato con la Commissione europea sulla legge di Bilancio.

Dopo una fase di silenzio (a Roma perché a Bruxelles il negoziato continuava), il tema è tornato sui giornali, e questa volta anche in Parlamento, in maggio-giugno quando si apprestava un secondo esame della bozza riveduta e corretta: ormai la riforma del Mes viaggiava da sola dato che si era scisso il nesso con il completamento dell’unione bancaria e con l’avvio del mercato unico dei capitale. Il testo, leggibile sul sito del Mes, suscitò preoccupazione non solo nei commenti di economisti ma anche di parlamentari della maggioranza di allora. I capigruppo di Lega e M5Stelle (Riccardo Molinari e Francesco D’Uva) hanno redatto un documento (integrale qui) in cui si impegnava il governo:

  1. a) in ordine alla riforma del Meccanismo europeo di stabilità, a non approvare modifiche che prevedano condizionalità che finiscano per penalizzare quegli Stati membri che più hanno bisogno di riforme strutturali e di investimenti, e che minino le prerogative della Commissione europea in materia di sorveglianza fiscale;
  2. b) a promuovere, in sede europea, una valutazione congiunta dei tre elementi del pacchetto di approfondimento dell’unione economica e monetaria, riservandosi di esprimere la valutazione finale solo all’esito della dettagliata definizione di tutte le varie componenti del pacchetto, favorendo il cosiddetto “package approach”, che possa consentire una condivisione politica di tutte le misure interessate, secondo una logica di equilibrio complessivo;
  3. c) a render note alle Camere le proposte di modifica al trattato Esm, elaborate in sede europea, al fine di consentire al Parlamento di esprimersi con un atto di indirizzo e, conseguentemente, a sospendere ogni determinazione definitiva finché il Parlamento non si sia pronunciato.

Non risulta che nulla di ciò sia stato fatto, forse anche perché a fine giugno si avvertivano i sintomi della crisi di governo che sarebbe scoppiata in agosto, Conte si preparava a transitare dalla guida di un governo a trazione di destra e uno a trazione di sinistra e, secondo i maligni, Tria era alla ricerca di una sistemazione a Bruxelles.

Le vicende recenti sono cronaca. A questo punto, l’Italia ha poca scelta: se blocca la riforma si possono scatenare i mercati. Lo scrive a tutto tondo il documento “Euro Area Sovereign Debt: Restructuring Options” di Theresa Arnold (Mc Guire Woods, LLP), G. Mitu Gulati (Duke University) e Ugo Panizza Ihed, da ieri sera sulla rete.

Difficile capire cosa ci sia da negoziare, tranne che mettere in buon inglese e buona sintassi un testo che lo stesso Carlo Cottarelli ha detto che si sarebbe potuto scrivere meglio.

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