I funzionari del Pentagono raccontano ai giornalisti che la concentrazione attorno alla Corea del Nord è massima. Satelliti e aerei per intelligence battono il territorio con costanza, e ieri un sito specializzato ne ha individuati addirittura quattro a coprire il quadrante in contemporanea.
Nelle prime ore dell’alba della Vigilia un RC-135W Rivet Joint, un E-8C, un drone Global Hawk e un RC-135S Cobra Ball sono stati spottati insieme, ossia intercettati attraverso i loro transponder lasciati accesi. E non si è trattato certamente di una casualità, perché il sistema di tracciamento viene di solito aperto per mandare messaggi: che in questo caso diventano qualcosa simile a “avete gli occhi puntati”.
Il dossier nordcoreano è in rampa di lancio. Pyongyang ha intensificato l’uso di propaganda aggressiva contro l’America almeno da maggio, quando la satrapia ha ricominciato con i test militari, interrotti nei mesi precedenti nel contesto della stagione negoziale con Washington. Una fase che ha avuto tre picchi, gli incontri faccia a faccia tra Kim Jong-un e Donald Trump, ma che non ha avuto mai l’implementazione necessaria per trasformare quegli incontri in un accordo politico.
In assenza di un’intesa sulla nuclearizzazione gli americani non accettano di sollevare le sanzioni che stringono l’economica nordcoreana, e Kim spazientito tre mesi fa ha dato un ultimatum: entro fine anno o sia fa qualcosa o niente più. Pyongyang nelle scorse settimane ha annunciato l’intenzione di uscire dai negoziati e minacciato “un regalo di Natale” impacchettato per Washington. Ma sono anche posture aggressive utili al satrapo per mantenere a bada il popolo e soprattutto i gerarchi nervosi che lo circondano – il dialogo con gli Usa sul nucleare era stato propagandato come l’occasione per avviare una nuova stagione di prosperità accettando qualche compromesso, ma se tutto è in stallo è chiaro che qualcuno inizia a diventare inquieto.
Sempre secondo i funzionari americani – molto vocali in questo momento, sebbene in forma anonima – un test di un ICBM potrebbe essere imminente. E sarebbe tutt’altro che una sorpresa. Si tratterebbe del lancio di un missile balistico intercontinentale, e sarebbe una violazione netta e aperta all’intesa verbale raggiunta tra Kim e Trump. Differente da quanto visto finora, perché Pyongyang ha sempre testato armi di importanza minore per non uscire dalla bozza-quadro – seppur verbale – raggiunta negli incontri dei due leader.
Trump ci scherza sopra dal buen-retiro di Mar-a-Lago dove sta trascorrendo le festività. Dice che il “regalo di Natale” di cui la Corea del Nord parla potrebbe finire per essere un “bel regalo” come “un vaso”, piuttosto che il test missilistico che molti esperti militari si aspettano. Dice anche che comunque è perfettamente in grado di affrontare con “successo” qualsiasi cosa. Ma è chiaro che il presidente è in difficoltà. Parla dell’empatia personale raggiunta con Kim, sogna un grande accordo con un nemico dell’America da rivendere a livello elettorale nel 2020, ma sul dossier nordcoreano le cose non vanno certo meglio che su quello iraniano o cinese (altri due campi in cui vorrebbe trovare soddisfazione). Anzi: e sulla questione si stanno incuneando anche Cina e Russia, che propongono una nuova tattica, partendo dall’allentamento delle sanzioni.
E le critiche dure non mancano. Uno dei più importanti perplessi collaboratori interni che Trump ha avuto al suo fianco, l’ex consigliere per la Sicurezza nazionale John Bolton, ha parlato con Jonathan Swan di Axios proprio della situazione con il Nord e detto che l’amministrazione “sta bluffando” e “presto potrebbe essere costretta ad ammettere che la sua politica ha fallito clamorosamente”. Bolton aveva già preso posizioni scettiche, sebbene più edulcorate sui negoziati con Pyongyang – mentre Trump diceva che “la minaccia nucleare della Corea del Nord non esiste più grazie a me”. E anche per questo il rapporto tra il presidente e il suo più importante consigliere s’è rotto.
Secondo diversi analisti, per esempio Daniel Russel, assistente del segretario di Stato per gli affari dell’Asia orientale e del Pacifico sotto l’amministrazione Obama, è abbastanza chiaro che tra i due leader ce n’è solo uno che segue una strategia – e intende Kim. Lettura simile fa Victor Cha, direttore nel Consiglio di sicurezza nazionale del dipartimento che si occupa di Asia sotto il presidente George W. Bush, che dice che anche senza un test (il regalo insomma), Kim sembra avere il pallino in mano. James Stavridis, ex comandate supremo della Nato in Europa e nel 2016 tra i papabili per prendere il posto di segretario di Stato sotto Trump, ha detto alla CNBC che è ormai evidente che “Kim stia fregando il nostro presidente”.
Sono ormai quasi tre anni senza progressi visibili nel convincere la Corea del Nord a prendere la decisione strategica di smettere di perseguire il programma atomico: “Il tempo è dalla parte della proliferazione”, ha detto Bolton, perché “più tempo passa, più tempo c’è per sviluppare, testare e perfezionare sia la componente nucleare che la componente missilistica balistica del programma”.
È sempre stato questo il problema con il Nord: l’approccio negoziale rischiava di allungarsi, le pressioni di annacquarsi per procedere con i colloqui, e intanto Kim poteva prendere tempo per il sua piano per arrivare alla Bomba. Una volta sviluppato definitivamente il programma, il Nord sarà una potenza nucleare a tutti gli effetti e l’approccio dovrà necessariamente essere diverso (qualcosa di più simile al controllo degli armamenti che alla denuclearizzazione).