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Vi racconto come la Nato è riuscita a rafforzarsi (ancora). Parla l’Amb. Talò

Un’Alleanza Atlantica più unita, anche nelle differenze, e un’Italia soddisfatta per il raggiungimento dei propri obiettivi. È la sintesi del vertice di Londra dell’ambasciatore Francesco Maria Talò, rappresentante permanente d’Italia alla Nato, che negli scorsi due giorni ha accompagnato il premier Giuseppe Conte all’appuntamento in terra britannica con i colleghi dell’Alleanza. Formiche.net lo ha raggiunto per fare il punto sulla riunione, apparsa complessa già alla vigilia tra le critiche mortifere di Emmanuel Macron, le distanze della Turchia di Recep Erdogan e le insoddisfazioni sul fronte della spesa di Donald Trump, poi trasformatesi nella soddisfazione del presidente americano per gli incrementi conseguiti. Nel complesso, nonostante restino divergenze tra i membri, l’Alleanza sembra aver retto bene, tanto da aver rilanciato una riflessione politica all’insegna dell’adattamento al nuovo contesto globale.

Ambasciatore, che vertice è stato?

Sebbene fosse un vertice definito “informale” e non un vero e proprio summit, si è rivelato un appuntamento molto importante, con la partecipazione al completo dei 29 capi di Stato e di governo dei Paesi membri più la Macedonia del nord, alla cui adesione manca solamente la formalità della ratifica spagnola, ritardata a causa del voto. È stato un vertice di altissimo livello anche in virtù delle grandi aspettative che c’erano alla vigilia.

Si riferisce alle critiche rivolte all’Alleanza da Emmanuel Macron?

L’intervista del presidente francese all’Economist ha sicuramente alimentato il dibattito, al quale si sono collegate sfide esterne di grande rilievo, a partire dal confronto con la Russia sino al terrorismo, tema permanentemente all’attenzione italiana. Si è poi affermata la necessità di lavorare insieme sulle grandi tematiche di carattere orizzontale, come il cyber e il 5G, ma anche il fatto che la Cina abbia ormai un ruolo globale che riguarda, dunque, anche l’area euro-atlantica, senza peraltro che quest’attenzione venga percepita all’esterno come l’identificazione da parte dell’Alleanza di una nuova minaccia.

E per l’Italia?

Per l’Italia c’è stata una conferma delle aspettative rispetto a ciò a cui teniamo di più. Prima di tutto, l’unità della comunità euro-atlantica, che alcuni hanno pensato potesse essere messa in discussione in virtù di diversità di accento o per la questione del burden sharing. Le divergenze su questo punto si sono però appianate nel modo migliore, con la dimostrazione concreta dell’impegno da parte di tutti che ha lasciato il presidente Trump soddisfatto.

Ma il nostro Paese resta lontano dal 2% del Pil entro il 2024.

Ovviamente si può fare di più, e questo vale per tutti. Ma nel complesso gli obiettivi si stanno realizzando. Come hanno sottolineato all’unisono il segretario generale Stoltenberg e Trump, negli ultimi quattro anni ci sono stati progressi straordinari, con 130 miliardi di dollari aggiuntivi investiti nella Difesa dagli alleati europei e dal Canada. A ciò si aggiunge il forte impegno dell’Italia nell’ambito dei contributi, valorizzando, come ha fatto il presidente del Consiglio, che siamo secondi solo agli Stati Uniti per la partecipazione alle missioni comuni. Lo stesso si può dire delle capacità, su cui l’Italia ha fatto pienamente i propri compiti avendo già raggiunto l’obiettivo (il 20% delle spese per la difesa in equipaggiamenti, ndr).

Alla vigilia si temeva un vertice burrascoso.

Invece le riunione si è tenuta in un clima molto costruttivo che ha lasciato tutti soddisfatti. Ognuno ha ribadito le proprie posizioni, non sempre identiche, ma questo è normale per una comunità di democrazie e di Paesi sovrani tra loro differenti. Tra l’altro, si sono così chiuse le celebrazioni per i settant’anni dell’Alleanza. Sono sette decenni basati su valori comuni che ci permettono di restare uniti al di là delle diversità contingenti. Proprio tali valori permettono ora di aprire il dibattito sul mondo in cui sfruttare meglio un foro che, come ha ricordato il presidente Conte, è l’unico a unire i Paesi europei, incluso il Regno Unito in prospettiva post-Brexit, Canada e Stati Uniti. Le differenze sono normali, in particolare in un foro ben più ampio e variegato dell’Unione Europea.

A proposito, si è ribadita la complementarietà tra Nato e Difesa europea, un punto su cui l’Italia ha premuto molto.

Assolutamente sì. La cooperazione tra Alleanza Atlantica e Unione europea è un tema su cui diversi Paesi come l’Italia hanno lavorato con particolare cura, a partire dall’esigenza di rafforzare la Difesa europea ma in modo complementare alla Nato.

E sul fianco sud? Siamo riusciti a convincere gli alleati della necessità di guardare con attenzione anche le minacce che da lì arrivano?

Sì. La questione è ormai digerita da tutti. È parte di un patrimonio comune fatto proprio dagli Alleati, anche perché si lega al tema del terrorismo che rappresenta per tanti una priorità assoluta. Ciò che viene genericamente definito fianco sud, va al di là dell’aspetto meramente geografico. Si tratta di un approccio a 360 gradi che comprende anche dossier come immigrazione, cambiamenti climatici e sicurezza marittima. Per noi è dunque una vera soddisfazione che, grazie al lavoro impegnativo svolto dai miei predecessori, la sensibilità per tali tematiche sia arrivata non solo dai Paesi della regione o dai grandi alleati che hanno sempre uno sguardo su tutti i temi rilevanti, ma anche dai Paesi del nord e dell’est dell’Alleanza.

Il lavoro di pressione sugli alleati continuerà?

Certo. È un lavoro che non arriverà mai a conclusione. Dovremmo compiere progressi concreti sulla pianificazione, nonché sul rafforzamento di strutture come l’Hub di Napoli, una divisione strategica che ormai esiste e funziona, ma che per noi è importante possa diventare sempre più forte e svolgere un ruolo-chiave all’interno della Nato e tra la Nato e i Paesi partner.

Si può dire che le critiche di Macron abbiano aiutato l’Alleanza a consolidarsi?

Lui stesso lo dice. Macron può dire di aver suscitato un dibattito che avrà seguito proprio perché la Nato ha una rilevante dimensione politica quale foro di confronto e dialogo tra i suoi membri. L’importante è che il dibattito prosegua con un processo consensuale e una dialettica costruttiva, così da rafforzare l’unità dell’Alleanza, obiettivo condiviso da tutti.

Oltre a Macron, c’era attesa per Erdogan. L’acquisto del sistema russo S-400 e l’iniziativa sui curdi rischiano di incrinare i rapporti con gli alleati. Come si è presentato il presidente turco?

Durante il vertice ognuno ha riaffermato le proprie sensibilità, ormai ben note, Macron, Erdogan e tutti gli altri leader. A contare sono i toni e l’atteggiamento, necessariamente costruttivo per far prevalere i punti di convergenza e per comprendere le posizioni dell’altro. È molto importante in un’Alleanza basata sul consenso, dove le cose non funzionano se uno dei membri si sfila e dove vale il motto, ricordato da Stoltenberg, del “tutti per uno e uno per tutti”. La riunione mi è sembrata in tal senso costruttiva.

Tra le novità c’è l’ingresso della Cina nell’agenda della Nato. Che segnale è?

È quello descritto nella dichiarazione finale. Per ora si è solo iniziato a parlarne, anche se come inizio è rilevante, derivante dal fatto che è la Cina a venire da noi. Ciò rappresenta un’opportunità, perché, quando si può, è opportuno dialogare e lavorare insieme (tutti hanno interesse a farlo), ma anche una sfida, poiché bisognerà farlo senza ingenuità, tenendo conto di alcune questioni sensibili.

Come il 5G?

Sì, come il 5G, su cui c’è sicuramente attenzione. L’Italia sul tema ha fatto i compiti, presentandosi come uno dei Paesi più avanzati in termini di protezione. È un elemento di particolare soddisfazione per me, avendo seguito il tema (da coordinatore per la cybersecurity alla Farnesina, ndr). L’ultimo anno di lavoro, svolto dalla presidenza del Consiglio con le varie articolazioni interne, è stato coronato da un provvedimento legislativo importante (il Perimetro di sicurezza nazionale cibernetica, ndr) che ci consente, con l’impostazione dello Stato di diritto, di creare in un ambito giuridico coerente una rete di difesa. Non è contro qualcuno, ma a protezione dei nostri interessi strategici.

Il vertice di Londra si è chiuso. E ora?

E ora si va avanti verso i prossimi settant’anni e anche più. Si va avanti con una Nato che continua ad adattarsi per poter affrontare le sfide che ci portiamo avanti dallo scorso secolo, e quelle nuove che derivano dalle tecnologie dirompenti (come il cyber) e dai nuovi grandi attori (come la Cina). Andiamo avanti con un’organizzazione politica e militare, capace dunque di affrontare in modo salutare il dibattito politico interno con la trasparenza tipica dei Paesi che non vivono sotto la cappa di un conformismo obbligatorio. La differenze e le divergenze costruttive consolidano l’Alleanza. Altrimenti non saremmo la Nato, ma il Patto di Varsavia.

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