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Se le piazze sono i nuovi social. L’analisi di Antonucci

Del 2019, al di là delle complesse vicende politiche che hanno caratterizzato la vita del governo, i rapporti tra partiti di maggioranza e coalizione e la difficile cornice in cui la manovra di bilancio ha avuto la luce, si ricorderà sicuramente la reviviscenza delle piazze e dei movimenti che cercano in questa dimensione nuove forme di partecipazione politica al di fuori dei partiti. Madamine Pro-Tav, operai delle molte imprese coinvolte nei tavoli di crisi industriali al Mise, mamme anti Ilva e gruppi di operai di Arcelor Mittal e indotto, comitati di cittadini, giovani dei Fridays for Future, precari di molte pubbliche amministrazioni e Sardine: molti sono scesi in piazza, ripresentando questa forma di protesta ritenuta sorpassata nell’era della politica elettronica e del dominio dei social.

Invece, le piazze, la loro organizzazione, il recupero di un contesto e di una dimensione fisica di confronto e proposta, sono tornate centrali per la politica dal basso. Lontano da piattaforme di voto elettronico, dove uno è uguale uno, ma la somma dei voti non assomiglia a nessuno; distanti dai social, dove, per logica intrinseca dell’algoritmo l’insulto si sostituisce al confronto e le bolle informative polarizzano la società civile, invece di porre in relazione le persone con opinioni differenti, le piazze si qualificano come la risposta 1.0 per l’elaborazione di alternative alla politica dei partiti. Sia che si tratti di gruppi in cui si affronta una sola questione (“single issue”, o “big tent” o “identity politics”, nel linguaggio dei politologi), sia che ci si trovi di fronte a movimenti animati di una pluralità di intenti, e rivolti a modificare nel profondo il modo in cui i partiti hanno elaborato temi e questioni emergenti dalla società, la discesa in piazza di gruppi alternativi alle proposte e alle risposte dei partiti, pone una serie di questioni rilevanti alla politica di domani. Come incamerare i temi avanzati da questi gruppi e movimenti che agiscono al di fuori dei partiti in una proposta programmatica atta a guadagnare il consenso elettorale? Come dialogare con questi soggetti? Relazionandosi con essi, o incamerandoli progressivamente nella politica dei partiti (ammettendo che questi soggetti si rivelino interessati)? Come formulare risposte politicamente praticabili a temi spesso troppo estranei alla negoziazione politica? L’esito della molto declamata plastic tax valga come esempio.

Sia per i partiti politici, sia per i diversi tipi di gruppi e movimenti dovrebbe valere il dilemma dell’istrice, ideato dal filosofo tedesco Schopenhauer nel suo “Parerga e paralipomena”: “Alcuni porcospini, in una fredda giornata d’inverno, si strinsero vicini per proteggersi, col calore reciproco, dal rischio di rimanere assiderati. Ben presto, però, sentirono le spine reciproche; il dolore li costrinse ad allontanarsi di nuovo l’uno dall’altro. Quando poi il bisogno di riscaldarsi li portò nuovamente a stare insieme, si ripeté quell’altro malanno; di modo che venivano sballottati avanti e indietro fra due mali, finché non ebbero trovato una moderata distanza reciproca, che rappresentava per loro la migliore posizione”.

La metafora sembra calzante: se la politica dei partiti non può non considerare le richieste che giungono da gruppi e movimenti che scendono in piazza e queste espressioni della società civile non possono non considerare la trasmissione delle proprie istanze ai soggetti della rappresentanza politica, resta cruciale la questione della distanza tra partiti e gruppi sociali. Il sacrificio della innocenza innovatrice per i gruppi e i movimenti che hanno ripopolato le piazze italiane sarebbe il pegno da pagare per i nuovi soggetti della società civile, che acquisiscono fiducia proprio per la loro distanza dalla politica istituzionalizzata; le accuse di collateralismo con soggetti che non si vogliono davvero impegnare nel formulare soluzioni politiche praticabili e concrete costituiscono il principale rischio che corrono i partiti troppo vicini ai ragazzi dei venerdì per il futuro o ai fondatori delle Sardine.

Con buona pace di chi auspica una convergenza dei ragazzi del movimento di Greta Thunberg con i Cinque Stelle o delle Sardine nel Pd, è utile che gruppi della società civile e movimenti restino distinti e che entrambi cooperino, ognuno con i propri strumenti di proposta e di rappresentanza, nella individuazione di obiettivi comuni per il futuro della società.

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