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Pop Bari, Salvini e la tregua (salva-Lega). Parla Lina Palmerini

Governare stanca, e vincere non sempre è un grande affare. Lina Palmerini, firma storica del Sole 24 Ore, va dritto al punto. Se si torna al voto chi vince si prende in eredità il bagaglio del governo rossogiallo. Ilva, Popolare di Bari, Unicredit, Alitalia, la lista è lunga una quaresima. Ecco che allora la proposta di Matteo Salvini di un “Comitato di salvezza nazionale” ha tutto l’aspetto di una ciambella di salvataggio. Per la Lega.

Il governo mette una toppa sulla popolare di Bari con il Consiglio dei ministri. La quadra è vicina?

Si deve trovare a tutti i costi. Le dichiarazioni delle ultime ore mi sembrano tranquillizzanti.

Dipende quali. Renzi e Di Maio non sono stati proprio concilianti…

Come al solito si sono mostrati i più combattivi, ma anche i più ostili alle soluzioni che cerca di trovare Conte.

Insomma, Mediocredito Centrale deve trasformarsi in una grande Banca per il Sud. Funzionerà?

Non so come finirà. È logico che per giustificare un finanziamento pubblico debbano dare una veste politica all’intervento, che come nel caso di Alitalia e Ilva è stato fatto in emergenza. Parlare di Banca per il Sud è più facile per i Cinque Stelle, che in questa occasione come sull’Ilva hanno fatto emergere tutte le loro contraddizioni. Così come sono obbligati a specificare che l’intervento serve a salvare i risparmiatori, non i banchieri.

Quindi?

Ci credo poco. Sarebbero stati convincenti se non avessero fatto un intervento del genere di domenica sera alle 21, a due giorni dal commissariamento di Bankitalia. Le difficoltà della Banca popolare di Bari erano note da tempo.

Chi ha messo la polvere sotto il tappeto?

Ci sono gravi responsabilità dal punto di vista gestionale, la magistratura sta indagando. Anche la politica ha fatto il suo.

Cioè?

Ha rimandato il problema di continuo. Il tema delle banche è sempre stato scivoloso per Renzi e i Cinque Stelle. Non mi stupisco che ora entrambi abbiano messo nel mirino Bankitalia, accusandola di non aver vigilato. È la prova che una parte della politica ha aspettato che arrivasse il commissariamento, per rendere più giustificabile il crack di fronte agli elettori.

Salvini ha auspicato una tregua per salvare il Paese. È solo tattica?

Difficile capire cosa sia autentico. Sicuramente l’uscita di Salvini è stata spiazzante. Fino all’altro ieri cannoneggiava il governo sul Mes e accusava Conte di tradimento, ora esce fuori con una proposta così conciliante, nel bel mezzo della campagna elettorale per l’Emilia-Romagna. Mi sembra più autentica la provocazione di Giorgetti.

Riassunto: governo di emergenza nazionale, poi elezioni.

Più che un governo un tavolo parallelo dove maggioranza e opposizione si sforzino di disinnescare tutte le mine disseminate sulla strada a beneficio di chi dovrà governare domani.

Magari proprio la Lega. Non è che il Carroccio ha paura di tornare a palazzo Chigi?

Possibile. Facciamo un rapido elenco di cosa c’è in palio per chi vince le elezioni. La crisi dell’Ilva, con il rischio dello spegnimento dell’Altoforno due. Il caso della popolare di Bari, ma anche altre crisi bancarie, penso a Unicredit che ha appena annunciato un piano da 3mila esuberi. Alitalia, dove sono stati messi altri 400 milioni senza una prospettiva chiara, con Lufthansa che rimane alla porta perché vuole entrare solo in un’azienda risanata. Devo continuare?

Palmerini, quindi Salvini non ha fretta di vincere. Giusto?

Non lo so. Credo che la Lega sia pienamente consapevole che una volta vinte le elezioni la strada non è in discesa, anzi. E l’appello per un comitato nazionale mi sembra eloquente.

Facciamo una road map del governo rossogiallo: su cosa può inciampare?

L’unica cosa certa è che chi oggi è in Parlamento continuerà a fare resistenza per restarci. Poi ci sono governo e maggioranza, che più dei problemi dovrebbero preoccuparsi delle soluzioni da trovare. Facile invocare un ritorno dell’Iri pubblica, più difficile mettere da pare gli slogan e rimboccarsi le maniche.

Ecco una data: 12 gennaio. È la scadenza per presentare un referendum contro il taglio dei parlamentari.

A palazzo Madama c’è questa leggenda: mancano poche firme e il quorum per un referendum è raggiunto. I senatori firmatari vogliono tirarle fuori solo all’ultimo momento, semmai dovessero rendersi conto che il governo non tiene più. Ma sono solo voci di corridoio…

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