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La Turchia è pronta a inviare in Libia miliziani siriani?

È possibile che a breve la Turchia sposti in Libia alcuni uomini delle milizie islamiste che combattono al nord siriano per procura di Ankara. Si tratta di gruppi come la Divisione Sultan Murad, creata in Siria dai turkmeni per combattere il regime di Damasco e da qualche tempo diventata un forza usata dal governo turco per il lavoro sporco contro i curdi al nord siriano – tanto che ormai non combatte più le forze assadiste. Oppure le Brigate Suqour al-Sham, che avrebbero già spostato alcune unità in Turchia pronte per il dispiegamento libico. Sono gruppi che vengono armati, sostentati, assistiti e protetti, e rispondono agli ordini dei militari turchi, ma di fatto sono forze clandestine non assimilabili ad Ankara – per questo spesso diventano più utili dei reparti dell’esercito regolare, perché possono compiere operazioni che gli altri non possono fare.

Nel caso, in Libia, andrebbero ad assistere le forze che proteggono il Governo di accordo nazionale (Gna) dall’assalto a Tripoli del signore della guerra dell’Est, Khalifa Haftar. Il Gna, esecutivo che lavora sotto egida Onu e internazionalmente riconosciuto, ha inviato nei giorni scorsi formale richiesta di assistenza militare ad Ankara, sulla base di un accordo di cooperazione firmato il 27 novembre dal presidente turco Recep Tayyp Erdogan e dal facente funzione di premier libico, il capo del Consiglio presidenziale Fayez Serraj.

L’assistenza militare in Libia è proibita da un embargo imposto cinque anni fa dalle Nazioni Unite, e questo vale anche se per il lato regolare della guerra – l’unico che la Comunità internazionale riconosce, aggredito dal tentativo egemonico di un capo miliziano che sogna di diventare il nuovo rais. Il Parlamento turco dovrà decidere tra il 7 e il 9 di gennaio sul da farsi davanti alla richiesta libica, ma secondo quanto trapelato – attraverso dichiarazioni di membri dell’esecutivo e dello stesso Erdogan – la risposta dovrebbe essere positiva e il voto sulla legislazione ad hoc per il dispiegamento di militari poco più di una formalità.

Da subito potrebbero partire delle navi a protezione di Tripoli dalla costa, ma è possibile però che la decisione di Ankara si porti dietro grosse problematiche a livello internazionale. Invece l’invio dei miliziani dalla Siria garantirebbe alla Turchia un grado di separazione, la negatività plausibile davanti all’Onu e alla Nato, di cui è membro.

Val la pena ricordare che le informazioni sui miliziani che dalla Siria dovrebbero arrivare in Libia via Turchia sono tutt’altro che ufficiali, come è chiaro che sia. Formiche.net ha contatto i propri canali all’interno del Gna che dicono che “già a gennaio potrebbe muoversi qualcosa”, ma senza troppe specifiche sul cosa o come. Le informazioni che circolano da un paio di giorni tramite svariati rumors sembrano però trovare adesso maggiore sintesi, anche dalla Siria, e per questo diventa un passaggio da annotare sul taccuino.

Anche con una smentita totale sarebbe comunque interessante seguire la dinamica di sovrapposizione libico-siriana. Se invece fosse vero (con un grande “se”, si ripete) sarebbe un elemento che potrebbe alterare il delicatissimo procedere della ricerca di cessate il fuoco che l’Onu e l’Unione europea stanno cercando di raggiungere per poi implementarlo con la conferenza di pace prevista a Berlino. Diventerebbe un elemento in più verso un’escalation difficile da controllare, dove gli attori esterni (Haftar è appoggiato da Egitto ed Emirati Arabi, nemici intra-sunnismo della Turchia) acquisiscono centralità sempre superiore.

Oppure è soltanto un elemento retorico usato da Erdogan e dal Gna per aumentare l’influenza all’incontro di Berlino e forzare Haftar a negoziare. Il meeting internazionale tedesco ha ancora una data da definire proprio per via dell’infiammarsi della crisi nelle ultime settimane. Circostanza creata dall’aumento dell’assertività turca sul fronte della Tripolitania e del sostegno russo tramite contractor militari clandestini che stanno aiutando Haftar – secondo il New York Times la loro presenza è testimoniata anche dalle ferite che i miliziani pro-Gna stanno riportando negli scontri: colpi singoli senza foro d’uscita, tipici di alcuni tipi di pallottole usate dai Dragunov russi, i fucili dei cecchini.

Mosca in Libia ha ottenuto un vantaggio: è riuscita a diffondere una percezione del proprio coinvolgimento superiore alla realtà, con poche centinaia di uomini è riuscita a farsi dipingere come un player centrale dietro Haftar. La Turchia ha invece aumentato il proprio coinvolgimento con atti pubblici come l’accordo di cooperazione militare. Ora la crisi sembra avvicinare lo spettro della sovrapposizione siro-libica, qualcosa di simile a quando il Califfato creò a Sirte la sua fiorente capitale sul Mediterraneo. Un grande bubbone regionale. Mentre si diffondono le voci dell’invio di milizie siriane controllate dalla Turchia a Tripoli, infatti, la Russia sta spostando le forze lealiste sulla roccaforte di Idlib, ultimo bastione anti-assadista.

Anche a Idlib Ankara e Mosca si trovano su due fronti diversi, perché i turchi sono i protettori militari dei ribelli rimasti accerchiati nella riserva di caccia in cui il regime li ha rinchiusi nel corso della campagna di riconquista. E non è detto che non ci sia una contemporaneità non casuale in questa doppia partita, che forse diventa un affare di scambio. Lo schieramento russo in Libia d’altronde non trova avallo completo al Cremlino – questo a giudicare dalle dichiarazioni che escono dal ministero degli Esteri, sebbene della presenza dei contractor Mosca abbia sempre negato tutto. Mentre sulla Siria la Russia ha molto da perdere (visto il tanto impegno pubblico profuso) e la Turchia ha da tempo spostato gli interessi più sul combattere i curdi che sul rovesciare il regime. Nei giorni in cui il Parlamento turco voterà per il dispiegamento libico, Erdogan incontrerà Vladimir Putin per l’ennesima volta negli ultimi tre anni.

 

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