Rampa di lancio per l’export italiano o flop propagandistico? È trascorso quasi un anno dalla firma apposta dal governo Conte I sul memorandum per la Via della Seta e ancora non è facile tracciare un bilancio per il sistema Paese. Alle aziende italiane ne è tornato qualcosa in tasca? Alle aziende europee ben poco, sentenzia un documento della Camera di Commercio Ue. Non la pensa così Michele Geraci, ex sottosegretario al Mise in quota Lega, che in un anno di governo ha seguito passo passo i rapporti commerciali con il Dragone.
Geraci, quel documento parla chiaro…
Non mi sorprende che le imprese europee abbiano difficolta a sfruttare la Belt&Road. L’Unione Europea è stata molto critica nei confronti della Via della Seta, lo stesso ex-presidente Junker è stato apertamente critico, prima che il suo stesso Paese, il Lussemburgo, firmasse dopo di noi. Cosa fanno, prima strombazzano ai quattro venti che la Bri non gli va giù, e poi si lamentano che non riescono a sfruttarla?
E l’Italia?
Al governo abbiamo cooperato con la Cina alla stesura di un testo che contiene importanti indicazioni su open procurement, level-playing field, accesso non discriminatorio, rispetto della proprietà intellettuale ed altro, che sono ovviamente solo al servizio delle aziende italiane, non di altri Paesi.
Perché allora la Camera di Commercio Ue traccia un bilancio così severo?
Non dimentichiamo che l’Ue ha definito la Cina un “nemico strategico”. C’è poco da sorprendersi se poi si ha difficoltà a fare business. Io avrei usato un altro linguaggio: ci sono sia sfide sia opportunità a lavorare con la Cina, così come con qualsiasi altro Paese. Non mi sembra un linguaggio molto produttivo e di sostegno alle aziende europee. Poi ci si chiede perché ci sia scetticismo su una politica estera comunitaria.
Molte delle imprese sondate sono francesi. Eppure la Francia fa business con la Cina, o no?
Lo fa eccome, così come la Germania. Ma è il risultato di investimenti di decenni, che precedono le critiche degli ultimi mesi, quindi vivono giustamente di un’inerzia positiva e per aver ben seminato negli anni, anche rischiando, come è normale quando si investe.
Perché allora anche il mondo imprenditoriale si lamenta?
Queste aziende, che hanno forte presenza all’interno della Camera di Commercio EU-China, lamentano delle difficoltà di accesso al progetto Bri, cosa non del tutto indipendente da queste ultime critiche pubbliche. Del resto fare bid congiunto con aziende cinesi in Paesi dell’Asia centrale non è cosa facile, anche a causa di standard dei Paesi ospiti, diversi da quelli europei.
C’è o no un problema di trasparenza nei contratti per la Bri?
Nel caso italiano il Mou è un documento di promozione dell’export, e la politica può usarlo per farsi carico della trasparenza. Spesso più delle clausole sono efficaci i rapporti personali. Una chiamata diretta con un corrispondente governativo o un sindaco cinese ha più impatto di un comma.
Numeri alla mano, ad oggi, non è entrato granché nelle tasche delle imprese italiane.
È vero, ma non dimentichiamo che già dopo le elezioni europee di maggio le frizioni all’interno della nostra maggioranza si sono accentuate, quindi solo dopo due mesi dalla firma del nostro Mou, e che il nostro governo è poi terminato ad agosto. Insomma, non c’è stato molto tempo. Di Maio ha portato la responsabilità del commercio estero alla Farnesina. Una scelta giusta, in teoria. Ad oggi però non sono state assegnate le deleghe, causa motivi che comprendo benissimo, anzi fa bene Di Maio a non assegnarle, visto che i tre partiti di maggioranza hanno posizioni opposte sul tema del liberismo commerciale e c’è il rischio che possa venir gestito in modo non ottimale.
Meglio il Mise?
Il vantaggio di gestire questi dossier di commercio estero al Mise era potersi concentrare la politica di promozione dell’export sui Paesi più interessanti, di volta in volta, come Cina, Giappone, America. Alla Farnesina, ad esempio, avrei avuto più difficoltà a costituire la task force sulla Cina.
Avrà notato che l’Italia viene continuamente chiamata in causa dalla stampa cinese come esempio di Paese aderente alla Bri.
Ottimo! È un grande risultato di marketing e di soft-power. Infatti, nei primi mesi molte aziende cinesi hanno riacquistato interesse per il mercato italiano anche grazie a questa pubblicità del governo. Poi, ovviamente, non hanno più saputo con chi interfacciarsi. Occasione persa, temo.
Geraci, il suo partito, la Lega, ha un approccio molto severo nei confronti della Cina, soprattutto sui diritti umani. Lei è sicuro di essere ancora leghista?
Io sono stato chiamato da Salvini perché le mie idee sul commercio estero sono quelle della Lega, che sono contro il liberismo sfrenato, con un approccio molto cauto ai trattati di libero scambio, quindi un rapporto naturale, una visione anche condivisa dal M5S in passato, almeno. Con Gian Marco Centinaio abbiamo lavorato tanto per difendere l’agroalimentare made in Italy, ci siamo battuti contro il Nutriscore, abbiamo votato contro il trattato con Vietnam, siamo contro l’approvazione del Ceta, e lavorato per aumentare le frequenze dei voli dalla Cina per portare più turismo e tanto altro. Totale sintonia, guardiamo alla sostanza.
Nel Mou è stato inserito un passaggio sul rispetto dei diritti umani, che secondo la Lega in Cina è scarso o nullo.
Vede che anche noi trattiamo questi temi? Non ci si può criticare anche per averle messe nel Mou.
Geraci, perché tutta questa passione per la Cina?
C’è una narrazione mediatica che distorce la realtà. Io ho passione per l’Italia, ed è per questo che ho lasciato il mio lavoro all’estero per dare una mano al mio Paese. La stampa si dimentica che ho vissuto 20 anni a Londra, lavorato per banche americane, ho studiato al Mit, e che ho ottimi rapporti con rappresentanti del governo di tutti i Paesi che ho incontrato. Fra due settimane sarò ad Harvard, alla Columbia, poi alla New York University per dei guest speeches.
Va bene, ma al governo?
Parlano i numeri: durante i miei mesi al governo l’export nostro verso gli Stati Uniti è aumentato del 9%. Praticamente il miglior risultato del mio lavoro, in aggiunta alla negoziazione sulla riduzione dei dazi Usa imposti alle nostre merci di circa 4 miliardi.
Però gli americani non ci vanno per la leggera. Che idea si è fatto della tregua commerciale con la Cina annunciata da Trump?
Non solo è la strada giusta, ma a conti fatti l’unica che beneficia di entrambi i Paesi. Da un anno dico che avrebbero trovato questo accordo. La Cina non può più permettersi una economia tutta export-oriented e deve aumentare la dipendenza dalla domanda interna. Trump fa bene a instaurare un dialogo forte, anche quando è sopra le righe, e sa che diminuire il deficit può offrirgli una carta importante per le elezioni presidenziali. Insomma, questo accordo è una soluzione win-win.
Chiudiamo con il 5G, la banda ultralarga su cui il Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, ndr) presieduto dal leghista Raffaele Volpi ha pubblicato un rapporto che invita il governo a valutare un bando delle aziende cinesi.
La sicurezza nazionale è prioritaria. Il mio approccio è semplice: se esiste un rischio per la sicurezza è necessaria una revisione. Le analisi fattuali sono sempre benvenute, per evitare che ne nasca un dibattito isterico e superficiale.