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5G, così la Commissione Ue vuole arginare Huawei

Diversificare i fornitori, individuare adeguati strumenti legali, escludere dal controllo di attori esterni gli asset strategici per la sicurezza nazionale. Sono queste alcune delle linee guida che mercoledì prossimo la Commissione Ue diramerà ai Paesi membri in un documento sulla protezione della rete 5G.

IL DOCUMENTO IN ANTEPRIMA

Visionato in anteprima da Reuters, è un compendio di indicazioni non vincolanti stilate dall’organo esecutivo Ue per lanciare l’allerta sicurezza sulla banda ultra-larga e mettere in guardia dai rischi derivanti da una gestione della rete appaltata ad attori esterni.

Il documento, che la settimana prossima sarà presentato la vicepresidente della Commissione Ue con delega alla concorrenza Margrethe Vestager, conferma la linea dura di Bruxelles sulla rete di ultima generazione. Non cita esplicitamente la Cina, accusata dagli Stati Uniti e dall’intelligence di alcuni Paesi occidentali di utilizzare le aziende di punta del settore telco come Huawei e Zte per azioni di spionaggio industriale. Alcuni passaggi però hanno riferimenti eloquenti agli operatori cinesi.

È il caso dell’invito per le aziende europee a non dipendere da un solo fornitore e a tener conto di “fattori tecnici e non tecnici” nella sua scelta. Un monito che riecheggia quello contenuto nel “5G Risk Assessment” pubblicato dalla Commissione a inizio ottobre, per cui “gli operatori con sede in Ue che divengono eccessivamente dipendenti da un singolo fornitore di equipaggiamento sono esposti a una serie di rischi causati da quello stesso fornitore finendo sotto una prolungata pressione di mercato, che sia dovuta a un fallimento commerciale, o a una fusione o acquisizione forzata o alla sottoposizione a sanzioni”.

LE LINEE GUIDA

Fra le linee guida della Commissione anche l’invito per i governi europei a condurre un ciclo di audizioni con gli operatori nel settore telco chiedendo di fornire dati sulla provenienza dell’equipaggiamento 5G e informazioni sulle misure prese per garantire la sicurezza del network, spiega Reuters. Qualora fossero individuati equipaggiamenti “a rischio”, gli Stati membri avrebbero il semaforo verde del Commissariato alla concorrenza per “restringere, interdire o imporre obblighi specifici” alle relative aziende.

Il documento appare in piena linea con la strategia della “sovranità digitale” annunciata dalla nuova Commissione presieduta da Ursula von der Leyen. L’ex ministro della Difesa ha fatto delle tecnologie emergenti un tema centrale nell’agenda europea. Nel suo discorso di presentazione a novembre, ha promesso che sotto la sua guida l’Ue lavorerà per avere “la padronanza e il controllo delle tecnologie chiave in Europa”. Obiettivo cui si è vocato Thierry Breton, commissario francese al Mercato interno con deleghe alla Difesa e allo Spazio, già ad di Orange e Athos.

L’ASSE BRETON-VESTAGER

Domenica scorsa, intervenendo alla Conferenza di Monaco sulla tecnologia Dld (Digital life design) l’uomo scelto da Emmanuel Macron per la Commissione ha ricordato l’importanza di difendere la “sovranità tecnologica” sul 5G. L’Ue non vuole “costruire una fortezza europea” che mal si concilierebbe con la normativa sulla concorrenza ma non farà sconti sulla sicurezza dei dati: “Se vogliono impiantare tecnologie in Europa, dovranno usare la nostra cassetta degli attrezzi, che sarà estremamente accurata”.

L’ex zar del tech made in Eu, cui Macron ha voluto regalare un portafoglio monstre, che include la regolamentazione delle telco e delle agenzie di sicurezza cibernetica, è considerato il massimo esponente del “tecno-gaullismo” e ha messo in chiaro fin dall’esordio a Bruxelles di voler tenere la barra dritta sul 5G. Su questo ha il supporto della Vestager, che ha più volte messo nel mirino colossi della Silicon Valley come Google e Apple a suon di maxi-multe dell’anti-trust.

MA I PAESI MEMBRI SONO DIVISI

Se nella Commissione c’è comunione di intenti sulla strategia tecnologica lo stesso non si può dire per gli Stati Ue. La geopolitica del 5G divide il Vecchio Continente fra Stati più sensibili al pressing del Dipartimento di Stato americano, che punta al bando tout-court di Huawei e di altre aziende legate al Partito comunista cinese (Pcc), e altri che invece sono più inclini ad accettare le offerte best-price delle compagnie cinesi.

La Germania, considerati gli stretti legami con la nuova Commissione, sarà l’ago della bilancia. Dopo le iniziali remore la cancelliera Angela Merkel ha adottato un approccio più assertivo sul 5G e sulla partecipazione ai bandi per la rete delle aziende cinesi. A dicembre, ad esempio, ha bloccato un accordo da 533 milioni di dollari fra Deutsche Telekom e Huawei. In prima fila nella battaglia per la sovranità tecnologica c’è il Bundestag, dove è in corso l’esame di una proposta di legge bipartisan per valutare l’esclusione diretta dei fornitori cinesi dalla banda ultra-larga.

I dubbi al governo restano. Rema contro l’iniziativa il ministro dell’Economia Peter Altmaier, che di recente ha paragonato la discussa Legge sulla sicurezza nazionale cinese del 2017 al Cloud act statunitense. Tentenna anche il Regno Unito, pronto a deludere le aspettative dell’alleato d’oltreoceano con un probabile via libera a Huawei. In Italia un segnale inequivocabile è stato lanciato dal Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica) con un rapporto pubblicato il 19 dicembre a conclusione di un anno di audizioni con gli operatori del settore e la comunità di intelligence che suggerisce al governo l’esclusione delle aziende cinesi dal 5G.

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