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In Italia torna la voglia di rivoluzione. L’analisi di Arditti

Salvini “citofona”, l’Italia arrabbiata risponde. Il blitz del Capitano che suona al campanello di un presunto spacciatore tunisino irrompe negli ultimi giorni dell’incandescente campagna elettorale emiliana dimostrando ancora una volta la sua abilità nel conquistarsi il centro della scena.

Encomi, critiche, polemiche e insulti: il segretario leghista nelle vesti di giustiziere del popolo ha sollevato l’oramai consueto polverone mediatico che segue ogni sua provocazione. Non proprio un’invenzione visto che soltanto pochi mesi fa, sempre a Bologna, due esponenti di Fratelli D’Italia avevano mostrato in diretta Facebook le targhette (troppe a loro detta) con i cognomi stranieri all’ingresso degli alloggi comunali.

Ma quello che conta, al di là delle valutazioni di merito, è che la battaglia sovranista contro il “melting pot” dei citofoni incarna in pieno i sentimenti di un’Italia sempre più rancorosa.

A mostrarci il fascino che il “nativismo” esercita sugli elettori è una rilevazione di SWG.

Per ben il 60% dei cittadini sarebbe giusto che gli italiani avessero la priorità nell’assegnazione delle case popolari rispetto agli stranieri. Una percentuale che diminuisce lievemente se l’oggetto della contesa diventano le liste di disoccupazione. Sensibilmente più basso ma comunque robusto il supporto a preferenze nazionali nelle graduatorie per gli asili nido e negli sgravi per le mense scolastiche (rispettivamente 52% e 48%).

Sentimenti ideali perché la nuova destra faccia il pieno dei consensi. Non più quella ultraliberista in stile Thatcher e Reagan ma quella dello sciovinismo del benessere (H. Kitschelt, G. Betz): assistenzialismo sì, ma solo per chi è nato qui.
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C’è poi un’altra spinta radicale nell’Italia di questo inizio 2020 ed è quella al cambiamento. Una richiesta sempre più frequente nella politica di oggi che tutti sognano di intercettare ma che in pochi riescono ad interpretare realmente.

Nella tradizione scelta tra riforme e rivoluzione che contraddistingue ogni processo di rinnovamento, la seconda torna a crescere (in coincidenza con il cambio di governo) guadagnando terreno sulla prima.

Tuttavia, i cambiamenti per via parlamentare restano ancora i prediletti dalla maggioranza degli italiani (53%) mentre “solo” il 37% sogna un’insurrezione. Un dato ben lontano dal maggio 2017 quando, con il governo Gentiloni in carica, la pulsione sovversiva superava quella gradualista.

Il desiderio di rivolta torna però a crescere ed è un dato che non può essere sottovalutato.

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Ma chi è che più di tutti sogna la rivoluzione?

Senza troppe sorprese a coltivare l’aspirazione di un cambiamento radicale è oltre il 50% dei ceti più poveri, un dato che cala di pari passo al miglioramento del tenore di vita.

Così l’appello alla rivolta fa breccia tra gli elettori delle classi popolari, come quelle del quartiere Pilastro dove il Salvini “citofonatore” va a caccia di voti e tutti gli altri sono costretti ancora una volta ad inseguirlo.

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