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Vi spiego il Manifesto di Assisi, l’altra Davos. Parla Realacci

Le proposte ci sono, la politica industriale anche. Manca, semmai, la voglia dei palazzi del potere di cogliere in pieno la sfida della sostenibilità ambientale e perché no, sociale. Il Manifesto di Assisi per un’economia a misura d’uomo contro la crisi climatica è stato presentato proprio ieri a Perugia, in vista della prima importante riunione del prossimo 24 gennaio quando, proprio ad Assisi, si ritroveranno i promotori di quello che a tutti gli effetti vuole essere un nuovo punto d’appoggio per una vera svolta green nazionale. Il Manifesto di Assisi è promosso tra gli altri da Fondazione Symbola, Coldiretti, Confindustria, Enel, dai francescani del Sacro Convento Assisi e da Novamont.

Il punto di partenza è questo: la green economy rende più competitive le nostre imprese e produce posti di lavoro affondando le radici in un modo di produrre legato alla qualità, alla bellezza, all’efficienza. Non a caso il Manifesto di Assisi ha in previsione di azzerare le emissioni di Co2 nel 2050, ma anche di affrontare i problemi legati all’uso dell’acqua, alla necessità di salvaguardare questa risorsa, all’innovazione tecnologica. Formiche.net ha sentito in merito, Ermete Realacci, presidente della Fondazione Symbola e tra i fondatori dell’ambientalismo italiano.

Realacci, da cosa nasce il Manifesto?

Stiamo tessendo una rete di intelligenze, competenze e volontà per un’alleanza nuova e atipica, più forte della conferenza di Davos, che riguarda solo il mondo dell’economia. La sfida contro i cambiamenti climatici è una grande opportunità per costruire un’economia più forte e si può affrontare solo se si lavora assieme. Nell’economia circolare siamo di gran lunga superiori alla media europea e un terzo delle imprese ha fatto investimenti che hanno a che fare con l’ambiente. E queste imprese sono quelle che innovano di più, esportano di più e producono più posti di lavoro. C’è in tutti i settori una tendenza a usare l’innovazione ambientale per la costruzione di un futuro migliore.

Bene, e la politica?

La politica non ci sente. E questo nonostante l’idea di affrontare la crisi climatica da un punto di vista diverso. Primo, una nuova alleanza tra economia, società, imprese e valori. Questo approccio è innovativo e diverso e rappresenta oggi un nuovo punto di vista per l’ambiente.

Anche a Davos si parlerà di sostenibilità…

Sì, ma noi con tutto il rispetto vogliamo una Davos dell’ambiente, diversa da quella dei banchieri, tradizionale. A Davos ci sono i potenti della Terra, spinti a occuparsi di questo tema, con il Manifesto di Assisi puntiamo a mettere tutti. Non solo economia, ma anche società e cultura, insomma cose piccole con cose grandi.

Obiettivo?

Costruire una cultura per il clima a misura di uomo. Il che è una specificità italiana ed europea. Italiana perché sì abbiamo un sacco di problemi qui in questo Paese ma non c’è nulla che non possa essere corretto con quel buono che abbiamo. Per esempio, quel buono è la parte non piccola di imprese italiane che investe nella green economy. C’è dunque un pezzo di economia italiana che è in movimento verso questa rivoluzione.

Oltre l’Italia, c’è l’Europa. Anche il Vecchio Continente può far suo il Manifesto di Assisi?

Sì, questa è una sfida anche europea. L’Europa ha bisogno della sua conquista della Luna, di ritrovare una sua missione. E questa è una missione adatta all’Europa.

Realacci, torniamo al punto di partenza. La politica dinnanzi alle vostre idee…

Questo Manifesto è già di per se una forma di politica industriale. Basti pensare all’Enel, primo produttore di rinnovabili al mondo e che ha fatto suo il senso del Manifesto. E non certo perché Enel è buona, ma perché ha interpretato il senso del cambiamento. Ora questa politica industriale deve trasformarsi in politica vera e propria.


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