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Bonus Conte? Non chiamatelo sgravio fiscale. La diagnosi di Giacalone

Stupisce che gente comunque avveduta, che ha dimostrato, se non altro, una discreta capacità di barcamenarsi, non si renda conto che annunciare generosità fiscali alla vigilia delle urne, per giunta regionali, svilisca anziché impreziosire l’annuncio stesso.

Stupisce anche che non s’impari nulla dall’esperienza, vivendo in un eterno presente dimentico di come bonus e assunzioni propiziarono a Matteo Renzi, giusto per citare un precedente vicino, l’avvio alla sconfitta elettorale. Esaurita la capacità di stupirsi, torniamo alla realtà dell’annuncio: giù il prelievo fiscale per 16 milioni di dipendenti. Non è vero.

Dice il presidente del Consiglio che è solo un primo passo, poi si farà di più. I primi passi è ragionevole non portino troppo distante, ma bastano a capire in che direzione ci s’avvia. Quello illustrato non è uno sgravio fiscale, ma una rimodulazione dei bonus renziani. Se fossero uno sgravio comporterebbero meno entrate e non maggiore spesa. Se fossero uno sgravio sarebbero diretti verso fasce di reddito e l’esclusione dei lavoratori autonomi sarebbe ragione di sicura e solare incostituzionalità. Ma non lo sono, restano nella logica di qualche soldo in più ai soli lavoratori dipendenti. Naturalmente non tutti.

Oramai è divenuto un vizio: si fissano aliquote specifiche solo per alcuni e si finge sia una flat tax (che sarebbe l’esatto contrario); si aumenta la spesa e la si chiama sgravio fiscale (lasciando crescere il debito, ovvero la promessa di maggiore fiscalità futura, l’esatto contrario); si evita che aumentino i prelievi (fissandone sempre maggiori nel futuro prossimo) e si sostiene di avere diminuito le tasse, che restano quelle di prima.

Una gara di fantasia, sempre nel presupposto che ad ascoltare ci siano boccaloni pronti a credere a tutto. Il guaio è che ad ascoltare ci sono tanti altri presunti furbi che anziché mandarli tutti a spigolare, incassano la promessa odierna e votano l’avversario che ne fa una ancora più grossa e insostenibile.

A proposito: varando Quota 100 dissero che per ogni pensionato anticipato ci sarebbero state tre assunzioni, alcuni fra loro si mostrarono più prudenti: ce ne saranno due. Il bollettino della Banca d’Italia chiarisce il risultato: uno fuori e dentro meno di uno. Tradotto: aumento della spesa e non del lavoro e della crescita, ovvero maggiore pressione fiscale e previdenziale su chi lavora e non evade.

Andare in direzione opposta, smetterla di spostare soldi dal lavoro al non lavoro, premiare il merito e non la stagnazione, sarebbero misure possibili e utili, ma sono tutti convinti che sarebbero anche suicide, non per il Paese, ma per chi voglia farsi votare. La diagnosi, quindi, è di trovarsi in un Paese in cui gli elettori sono abbastanza fessi da non riconoscere neanche il proprio interesse, o abbastanza disillusi da non credere nemmeno esista, sicché meglio prendere quel che l’imbonitore di turno offre. Il timore è che in questo siano realisti.

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