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Commercio, industria, energia. Pennisi spiega cosa cambia in Europa

È passato quasi un anno dalla campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento europeo (Pe). Allora le forze considerate “sovraniste”, convinti di ottenere la maggioranza al Pe, proclamavano che avrebbero “rovesciato la Commissione europea (Ce) come un calzino”. Non hanno vinto, ma zitta, zitta, la Ce si sta “rovesciando” da sola (anche se molti suoi componenti sono gli stessi della precedente Ce). Il motore – pochi se ne sono accorti- è la Germania, per decenni grande sacerdotessa della “ortodossia ordoliberista”. I cambiamenti sono poco visibili, ma profondi. Almeno tanto quelli alla Banca centrale europea (Bce) da quando Christine Lagarde ha assunto il ruolo avuto, per un mandato, da Mario Draghi.

I cambiamenti più visibili, ma non necessariamente più profondi, sono in materia di commercio internazionale. Il Commissario incaricato al commercio, l’irlandese Phil Hogan (che dal 2014, nella precedente Commissione, aveva il portafoglio dell’agricoltura, in missione a Washington per una settimana, ha battuto i pugni sul tavolo e – cosa inaudita! – ha minacciato di portare l’amministrazione Trump in tribunale (quello dell’Organizzazione mondiale del commercio, peraltro non operativo sino a quando non verranno completate le nomine del corpo giudicante) a ragione delle “distorsioni di commercio” a danno dell’Ue che provocherebbe l’accordo commerciale Usa-Cina firmato alla Casa Bianca il 15 gennaio.

Non si tratta, però, di uno scatto d’umore personale. A Bruxelles si dice che Hogan ha convinto la presidente della Ce (ed i suoi colleghi nella Ce) che molti Paesi si approfittano della Ue ed in materia di commercio la stanno prendendo per i fondelli. Sono, a vario stadio di gestazione, diverse misure: una carbon border tax nei confronti di importazioni da Paesi notoriamente inquinatori (Cina, India), dazi “di ritorsione” nei confronti di prodotti proveniente da imprese che ricevono forti aiuti di Stato (non autorizzati – come è noto – nella Ue), una proposta di modifica piuttosto radicale dell’Organizzazione mondiale del commercio, restrizioni nei confronti di import da Paesi che non applicano, come nella Ue, procedure di appalto competitive internazionali per le commesse pubbliche. Una Ue più assertiva, ma meno libero-scambista.

Modifiche di grande rilievo sono in cantiere in materia di politica industriale. Non solo la proposta francese (il Rapport Beffa del 2005 ed il Rapport Gallois del 2012) per una politica di promozione di campioni europei sembra accettata, ma si stanno già prendendo misure puntiformi in questa direzione. È stato autorizzato, ad esempio, un progetto di partenariato pubblico – privato di 3,2 miliardi di euro, sponsorizzato da sette Stati membri, per la costruzione di 25 impianti di batterie per auto elettriche. Sono in preparazione altri “Progetti Importanti di Rilevante Interesse Europeo” in varie aree spesso collegate alla transizione ambientale. Soprattutto, è stato creato un gruppo di studio per riesaminare le regole in materie di concorrenza.

Lo propongono da anni vari Stati membri, con la Francia come capofila. Da poco più di un anno, il vero conduttore è il ministro tedesco dell’economia e dell’energia Peter Altmaier, ora sessantenne ma un tempo uno dei “giovani leoni” della Cdu. Nato nella Saar, figlio di un minatore e di una infermiera, ha studiato grazie a borse di studio ed è entrato presto in politica. È al quarto portafoglio ministeriale federale. Da giovane era alla guida dei liberal-liberisti della Cdu. Si considera ancora tale ma richiede che le regole del gioco debbano valere per tutti: liberale –ripete – non vuol dire scemo. Per questa ragione, è uno dei proponenti di una web tax europea per contrastare le piattaforme americane come Google, Amazon, Facebook e non ama particolarmente il modo di fare della Cina. Si è convinto (a ragione od a torto) che le imprese europee resteranno piccole e deboli, se non si cambiano le regole sulla concorrenza.

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