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Crisi in Libia, i pozzi chiusi costano 55 milioni al giorno

L’approvazione della dichiarazione finale sulla Conferenza di Berlino risolve anche la questione legata ai pozzi petroliferi libici? Oltre al cessate il fuoco permanente, come si snoderanno gli scenari (economico/finanziari/energetici) dopo che le forze fedeli all’uomo forte della Cirenaica hanno chiuso un oleodotto che li collegava alla costa? Punto di partenza il lucchetto stretto attorno a Sharara, il più grande campo petrolifero libico da parte delle milizie Haftarine: un danno da 55 milioni al giorno.

DOPO BERLINO

Il documento approvato a Berlino oltre al cessate fuoco permanente, contempla anche un embargo sulle armi e un processo politico per arrivare a un governo unitario, rispettando in questo modo la bozza fatta circolare nei giorni antecedenti alla Conferenza. La Libia ha fatto registrare una produzione di circa 1,2 milioni di barili al giorno estratti dai principali giacimenti che si trovano nella parte orientale del Paese, all’interno delle aree controllate dall’esercito nazionale libico (LNA) di Haftar.

Secondo quanto riferito dai vertici della compagnia nazionale libica, la Noc, le guardie oggi hanno chiuso l’oleodotto che conduce alla città costiera di Zawiya, costringendo la società a limitare la produzione di petrolio nei giacimenti di Sharara ed El Feel, la cui chiusura è stata rivendicata dal movimento di protesta “Rabbia del Fezzan”. La chiusura è di fatto il secondo passo in questo senso, dopo il blocco dei principali porti petroliferi orientali: una doppia azione che di fatto mette a rischio l’intera produzione petrolifera libica.

TRIPOLI

Mentre a Berlino si firma, a Tripoli si combatte: gruppi armati rivali si sfidano lungo la strada dell’Aeroporto internazionale di Tripoli, nonostante la tregua in vigore dallo scorso 12 gennaio. Le truppe Haftarine hanno risposto colpendo un’unità di stoccaggio di petrolio dove sono dislocate le forze fedeli al governo guidato da Sarraj.

L’industria petrolifera libica è l’unica fonte di sostentamento del Paese. Il blocco a Al Riyayna tocca l’impianto gestito dalla joint venture Akakus, che vede in partnership Noc, la spagnola Repsol, la francese Total, l’austriaca Omv e la norvegese Statoil. Nei pressi anche il giacimento El Feel, amministrato dalla Mellitah Oil and Gas, una joint venture tra la Noc e la compagnia italiana Eni. Secondo il numero uno di Noc, Mustafa Sanallah, la Libia perderà, a causa di questa chiusura, quasi 800.000 barili di petrolio al giorno, equivalenti a 55 milioni di dollari al giorno.

NODI

Uno dei nodi che sembra non essere stato affrontato nella bozza di accordo berlinese, verte la distribuzione delle entrate petrolifere, il principale punto dell’intera vicenda, propedeutico ad ogni altro passo di natura politica. Le parti, così come emerso nella bozza preliminare, si sono concentrate sulla volontà di respingere ogni “tentativo di danneggiare l’infrastruttura petrolifera libica, qualsiasi sfruttamento illecito delle sue risorse energetiche, che appartengono al popolo libico, attraverso la vendita o l’acquisto di greggio libico e derivati al di fuori del controllo del Noc e chiediamo una distribuzione trasparente ed equa del petrolio ricavi”. Ma al di là di sollecitare le parti a “continuare a garantire la sicurezza delle installazioni petrolifere e di impedire ogni ostilità contro tutte le strutture petrolifere”, sarebbe servito uno scatto decisivo proprio nel dossier energetico.

SHARARA

Non va dimenticato che lo scorso febbraio le forze militari della Cirenaica avevano preso il controllo del giacimento Elephant di El Feel la cui produzione non aveva subito interruzioni e continuava al ritmo di 75.000 barili al giorno. Lo schema di El Feel è lo stesso applicato al giacimento Sharara, il più grande del paese che da solo può contare su circa 315mila barili al giorno, contribuendo in modo determinato alla produzione complessiva della Libia. Aveva smesso di operare nel dicembre 2018, a seguito di una serie di attacchi armati condotti dalle milizie esterne con la complicità di quegli agenti che avrebbero dovuto garantirne la sicurezza e l’impenetrabilità. Dopo “l’intervento” dei fedelissimi di Haftar del febbraio 2019 sono di fatto mutati i rapporti di forza proprio attorno alla operatività dei campi in questione.

E un focus andrà acceso verosimilmente anche su Bengasi e sulla percezione dei suoi cittadini. Si pensi solo al fatto che la banca centrale con sede a Tripoli aveva quasi 75 miliardi di dollari in riserve estere, ma invia al governo orientale solo briciole. Per cui in molti a Bengasi guardano ai militari (e non più alla politica) per la gestione dell’amministrazione quotidiana.

twitter@FDepalo

 

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