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Una Emilia-Romagna non fa primavera. Lezioni e prospettive firmate Curini

Alla fine è stato un po’ come le regionali in Lombardia del 2013, in cui tutti, giornali e sondaggi inclusi, parlavano finalmente di una regione contendibile, tranne poi registrare Roberto Maroni e la colazione di centrodestra prevalere in scioltezza su Umberto Ambrosoli e il centrosinistra. In Emilia-Romagna è stata esattamente la stessa cosa, se mai ancor più marcata come dinamica a risultato acquisito. Ciò nonostante, c’è molto da imparare dalla appena conclusa domenica elettorale. Proviamo un po’ a riassumere di getto qualche lezione.

Lezione 1: i candidati contano. Stefano Bonaccini ha effettuato una campagna elettorale intelligente, tutta incentrata sulla sua persona e sulla sua esperienza di amministratore del territorio. E tutto ciò ha pagato, come sembra mostrino (almeno al momento in cui sto scrivendo) anche i dati sul voto disgiunto. Al contrario Lucia Borgonzoni è apparsa fin da subito (a dirla tutta, probabilmente senza troppa colpa propria) schiacciata da Matteo Salvini, senza una vera e forte identità autonoma. Un’incognita per gli emiliani che non hanno forse mai davvero capito che possibile presidente di regione sarebbe potuta diventare. Tra l’altro, e per l’ennesima volta, il voto disgiunto di cui sopra svantaggia in termini relativi il candidato del centrodestra, esattamente come in Sardegna e Piemonte. Il che dovrebbe far riflettere sulla selezione della classe dirigente.

Lezione 2: la mobilitazione conta (se la sai fare). Come avevo segnalato in tempi non sospetti il movimento delle Sardine si sarebbe rilevato importante non tanto nel far cambiare idea di voto a qualcuno, ma nel far andare a votare persone tendenzialmente pro centrosinistra, che sarebbero rimaste a casa altrimenti. Ed infatti così è stato. Senza simboli di partito e con solo un anti-salvinismo accesso, hanno occupato la piazza con successo.

Lezione 3: la moderazione (ancora) conta. Probabilmente il risultato non sarebbe stato diverso, ma la sceneggiata della citofonata ha secondo me solo nociuto a Salvini, mettendo ansia a diversi elettori centristi. Insomma, Salvini fa un passo avanti (come il recente convegno sull’anti-semitismo) sulla via della moderazione, e un passo (o due) indietro subito dopo. Il che lascia un po’ confusi.

Lezione 4: il M5S non conta più… Come ho scritto recentemente, la crisi del M5S è strutturale, ergo sostanzialmente inarrestabile. Le conseguenze però di questo non sono affatto banali.

Lezione 5: Silvio Berlusconi invece ancora (un po’) sì. Vero, il risultato delle elezioni in Emilia-Romagna è stato un bagno di sangue per Forza Italia, ma zitto zitto, e giocandosela in prima persona, Berlusconi porta a casa un nuovo presidente di regione in Calabria, ottenendo anche un discreto risultato per il suo partito. E così facendo, ha mostrato ancora una volta, se mai ce ne fosse stato bisogno, la sua tuttora insostituibilità all’interno della coalizione di centrodestra.

Ma oltre alle lezioni, possiamo trarre anche qualche prospettiva sul futuro della dinamica politica italiana. Eccone quattro:

Prospettiva 1: che futuro per il Pd. Il Pd è andato molto bene in Emilia-Romagna, e ha sostanzialmente tenuto, almeno come lista, in Calabria. C’è insomma tanto da festeggiare per Zingaretti, ma attenzione a non fare dei risultati di domenica una svolta “epocale” con risvolti nazionali. Vincere in Emilia-Romagna non fa di certo primavera. Il Pd ha infatti vinto nella sua regione storica, dove il centrodestra non ha mai tradizionalmente toccato palla, e senza che il suo candidato (Bonaccini) utilizzasse sostanzialmente mai il suo simbolo. Per giunta, deve ringraziare le Sardine che rimangono una incognita su cosa esattamente vogliano. Il rischio che non deve correre è schiacciare il Pd solo sull’antisalvinismo senza molto altro intorno. Un rischio non da rischiare. Anche perché il centrosinistra rimane ancora ampiamente minoritario in Italia.

Prospettiva 2: che futuro per il centrodestra. Il centrodestra, complessivamente, si conferma in buono stato di salute. Ma se passiamo dall’aggregato ai singoli, è indubbio che Salvini abbia perso la sua scommessa personale sull’Emilia-Romagna (nonostante un risultato che rimane ottimo per la Lega come voti di lista). Polarizzare sulla propria persona una campagna elettorale è un rischio altissimo (si veda alla voce referendum costituzionale e Matteo Renzi), e se alla fine si perde il costo da pagare può essere assai salato. Perché gli italiani sono volubili in fatto di amori per i leader, specie per quelli che non sono più vincenti. Ma questo, paradossalmente, potrebbe anche essere una buona notizia per il centro-destra, almeno per i più centristi della coalizione che potrebbero trovare nuovo ossigeno da questo parziale “ridimensionamento” di Salvini. Lo stesso potrebbe essere per la stessa Lega: va bene il centralismo intorno a Salvini, ma se anche qualche altro “colonnello”, magari con posizioni un po’ meno radicali, si facesse sentire qualche volta, male non sarebbero.

Prospettiva 3: che futuro per il governo. Ho sempre sostenuto che il risultato di domenica sarebbe stato importante per la tenuta del governo solo per una cosa: il risultato che avrebbe conseguito il M5S. E le percentuali ottenute dai pentastellati non sono secondo me di buon auspicio. Il M5S si trova ora di fronte ad un dilemma esistenziale: continuare, e morire (ma in modo confortevole, a fine legislatura), stando al governo, oppure chiedere un nuovo protagonismo dentro al Conte II (cosa difficile da ottenere, visto la crescente debolezza elettorale dei 5 Stelle), financo essere pronti a farlo cadere per cercare disperatamente di sopravvivere. Le prossime settimane saranno decisive a questo riguardo. Scissioni possibili incluse.

Prospettiva 4: che futuro per l’Italia. Il voto di domenica riconsegna l’Italia al bipolarismo. E questa è una buona notizia, semplicemente perché un sistema bipolare è intrinsecamente più stabile di uno tripolare. Ed è un vero peccato, a questo riguardo, la scelta della Consulta sul referendum maggioritario. Ma forse i risultati rifaranno venire voglia di “vocazione maggioritaria” anche al Pd. Ed è anche su possibili e nuovi ripensamenti sulla nuova legge elettorale che il governo Conte II potrebbe alla fin fine pagare pegno.

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