Un giro intorno al mondo per promuovere il volontariato digitale: questa la missione di Skillando, realtà fondata da Filippo Scorza, consulente all’innovazione e trasformazione digitale in Innovation School di Talent Garden e “creatore” seriale.
Il suo approccio professionale è incentrato nella creazione e condivisione di valore. Il suo sito internet è ricco di spunti e documenti open source che possono aiutare i più giovani a costruire conoscenza e cultura. Lo incontriamo a poco meno di un mese dal primo viaggio intorno al mondo, che lo porterà, insieme ad altri innovatori, in 9 Paesi del globo.
Può raccontarci qual è l’obiettivo di Skillando?
L’obiettivo è semplice, parliamo di “bridging digital divide”, ovvero consentire a tutte le persone e organizzazioni che non hanno possibilità di accedere a formazione di alto livello di costruire soluzioni a impatto sociale nel loro contesto.
Come nasce questa missione?
Skillando nasce perché avevo preso un periodo sabbatico dopo un’esperienza con una prima startup andata male. Sentivo il bisogno di staccare e così ho deciso di frequentare un master in Social Innovation a Nairobi, in Kenya. In quel contesto ho iniziato a frequentare meet-up su questo tema, ho conosciuto due ragazzi developer che mi hanno parlato della Tunapanda Institute, una scuola organizzata in slum di Nairobi dove viene insegnato coding, informatica e marketing ai ragazzi. E così ho iniziato a collaborare con loro.
Poi è tornato in Italia…
Torno in Italia e penso: questa esperienza può diventare un side project. Ho creato un video e l’ho postato sui miei canali social invitando persone interessate a vivere un’esperienza simile a seguirmi. Così in 5 siamo partiti per Nairobi e abbiamo erogato la prima missione di volontariato digitale a supporto di un’organizzazione locale. Da lì sono nate altre esperienze in India, a Bangalore. Il bello è che non fai solo volontariato, ma puoi immergerti completamente nella vita locale ed imparare molto, uscendo dalla tua zona di confort.
Quando un’organizzazione o una startup hanno un “impatto sociale”?
Quando utilizza risorse locali e riesce a risolvere un problema concreto all’ambiente o alla società senza dover ricevere fondi di investimento stratosferici. La maggior parte di queste organizzazioni ha bisogno di visibilità e di formazione. Inizialmente ci trovavamo a realizzare siti internet, poi abbiamo pensato “perché non insegniamo WordPress?”. Hanno bisogno di marketing? Spieghiamo loro come costruire contenuti”. E così via.
Può farci qualche esempio di organizzazioni ad impatto sociale che ha incontrato?
In Perù c’è Palo Peru, che attraverso lo sport, il surf, toglie i bambini dalla strada trasmettendo valori e ambizioni.
Quali sono i Paesi su cui è strategico “puntare gli occhi”, a tuo parere?
In Kenya sono rimasto molto colpito dalla curiosità che hanno quei ragazzi verso il mondo startup e il digitale. Ho visto molti meetup, con ragazzi che si riunivano a scrivere codici. In quel contesto ho trovato un ecosistema che crescerà molto nei prossimi anni. Forse manca quella parte di Venture Capital e investitori. Alcuni progetti nascono con value proposition rispondendo a problemi concreti ma non hanno la parte economica per scalare e andare sul mercato.
Cosa manca all’Italia per diventare un Paese davvero alleato al digitale?
In Italia manca evangelizzazione delle vecchie generazioni e responsabilizzazione di quelle più giovani. Penso al tema della consapevolezza digitale, delle fake news o del phishing. E poi manca la cultura del digitale a livello di istruzione, nonostante questo sia entrato nelle nostre vite in maniera dirompente.
Cosa dovrebbe essere insegnato nelle scuole?
Dovremmo spiegare come fare impresa nelle università e nelle scuole superiori. Inoltre la formazione dovrebbe essere orizzontale e non verticale: è inutile che impari un linguaggio di programmazione che poi diventa obsoleto. Molto meglio avere un approccio di metodo, è funzionale per il nostro futuro.