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Perché rilanciare (e rafforzare) l’operazione Sophia. Lo spiega Cherubini (Luiss)

L’Ue vuole “rianimare” EunavFor Med, la missione che dal 2015 pattuglia con navi e aerei il Mediterraneo per contrastare il traffico di esseri umani, affidata alla guida italiana dell’Ammiraglio Enrico Credendino. Parola dell’Alto rappresentante Ue Josep Borrell, che all’indomani della Conferenza di Berlino sulla Libia ha riaperto il tema con l’endorsement di diversi Paesi membri, compreso quello italiano.

Non era scontato: proprio il governo Conte I aveva promosso la sospensione dell’“Operazione Sophia” accusando l’ingiusta ripartizione dei migranti salvati in mare. Risultato raggiunto a metà: dal marzo del 2019 la missione è stata privata delle sue due navi militari. Ora Bruxelles la vuole riportare in vita, per far rispettare l’embargo delle armi previsto dall’Onu. Venerdì una riunione del Comitato politico e di sicurezza Ue svelerà le prossime mosse.

Alle attività di search and rescue, ha sottolineato in una recente intervista a Formiche.net il presidente del Comitato militare europeo generale Claudio Graziano, si somma un potenziale di deterrenza non banale. Riportare le navi in mare è una buona idea, dice a Formiche.net Francesco Cherubini, docente di diritto delle Organizzazioni internazionali e dell’Ue alla Luiss, anzi, la missione “va potenziata”. Ma sul suo raggio d’azione e sulla legittimità di qualsiasi altro intervento Ue in Libia pendono diversi interrogativi cui il diritto internazionale non sempre sa dare risposte.

L’Ue vorrebbe rilanciare la missione. Oggi in che stato versa?

È stata rinnovata fino al prossimo 31 marzo. Di fatto è stata azzoppata, perché tale è una missione navale senza navi cui è negato qualsiasi intervento diretto.

Perché si è ridotta così?

Per uno scontro che ha visto protagonista il governo Conte I. L’Italia ha minacciato di abbandonare l’intera operazione, peraltro a guida italiana, se non fosse cambiato il sistema di redistribuzione dei migranti salvati in mare. Il compromesso ha portato a una missione depotenziata.

E il nodo del salvataggio dei migranti in mare resta.

Anche se non ci fosse una specifica disposizione sarebbe il diritto internazionale generale a chiederlo. Qualsiasi nave, militare e mercantile, deve soccorrere un’imbarcazione in stato di distress e salvare chi ci sta sopra.

Qui sorge un dubbio: EunavFor Med può sconfinare nelle acque territoriali libiche?

Questo è un problema non da poco, perché non ci sono interlocutori certi sotto il profilo della soggettività internazionale. La Libia ricorda oggi i casi passati della Somalia e del Congo. Un criterio è il consenso dello Stato territoriale, necessario per operare all’interno delle sue acque territoriali. Nel caso libico non è chiaro chi possa darlo, perché non c’è un solo soggetto che controlla con certezza il territorio bagnato dal mare.

Altri criteri?

Il diritto internazionale dà risposte più sicure quando la situazione si è consolidata e si stabilisce un governo effettivo.

Effettivo?

Che eserciti i poteri sovrani dello Stato. Che abbia forze di polizia e militari per il controllo del territorio, garantisca servizi essenziali, un sistema economico e giudiziario funzionante. Anche se lo Stato libico andasse incontro a uno smembramento in due o più parti, non basterebbe il riconoscimento della comunità internazionale per qualificarli come Stati.

Ricapitolando, se EunavFor Med torna in mare deve soccorrere i migranti. Stop.

Il divieto di respingimento non solo è presente in decine di convenzioni internazionali ma si è consolidato negli anni come norma consuetudinaria, secondo buona parte della dottrina addirittura come diritto inderogabile, jus cogens. La redistribuzione dei migranti deve però essere rivista. Non è possibile che tutti quelli salvati debbano essere gestiti dall’Italia.

Ma è giusto o no rinnovare la missione?

Andrebbe non solo rinnovata, ma anche di molto rafforzata, per una ragione molto semplice: se l’Ue non mette le sue navi al largo della Libia lo farà qualcun altro. Purtroppo su questo abbiamo assistito a un continuo valzer dei Paesi membri.

Cherubini, in questi giorni viene spesso evocato l’invio di una forza di interposizione in Libia, sotto il cappello Onu o dell’Ue. Il diritto internazionale che dice?

Tutte le operazioni di questo genere rispondono a una regola generale: non si può fare. Certo, ci sono delle eccezioni, le cosiddette “scriminanti”.

Ad esempio?

Una è l’autorizzazione del Consiglio di sicurezza dell’Onu, che darebbe a un intervento dell’Ue o dell’Unione africana una copertura giuridica. Anche se solitamente il Consiglio ricerca il consenso dello Stato territoriale.

Che in Libia è una chimera.

Si può bypassare (forse: perché le opinioni sono molto contrastanti) se sussiste una condizione: lo stato di necessità. Secondo il diritto internazionale uno Stato non viola il divieto di ingerenza se interviene in uno Stato terzo quando vi sia in corso una massiccia violazione dei diritti fondamentali.

Esiste una casistica?

L’intervento della Nato in Kosovo è un esempio. Non c’era per ovvie ragioni l’autorizzazione dello Stato territoriale né quella del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Fu appunto giustificato con la tutela dei diritti umani, con un appunto.

Quale?

Gli stessi leader Nato, a partire da Tony Blair, si affrettarono a dichiarare che si trattava di un’eccezione. Questo è il rischio che si corre anche in Libia: non è detto che all’Ue convenga creare un precedente.

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