Ormai sono tutti (quasi) d’accordo: la sfida dei cambiamenti climatici sarà cruciale nei prossimi decenni. L’aumento costante delle temperature a livello globale, documentato dai più prestigiosi centri di ricerca internazionale, dimostra che occorre abbandonare l’uso delle energie da fonti fossili per imboccare la strada della transizione verso un’economia rinnovabile e circolare. L’occasione per una riflessione su come accelerare il processo di decarbonizzazione dell’Italia e dell’Europa è stato l’evento organizzato dal Kyoto Club per ricordare l’anniversario dell’entrata in vigore del Protocollo di Kyoto.
“In trent’anni l’Europa, sulla spinta del Protocollo di Kyoto, ha ridotto di circa un quarto le proprie emissioni rispetto al 1990 – ha ricordato Gianni Silvestrini, direttore scientifico di Kyoto Club – Nei prossimi dieci anni il taglio dovrà raggiungere almeno il 50%, in coerenza con gli obiettivi di Parigi. Ed è evidente la necessità di una forte accelerazione e il Green Deal europeo indica la volontà di trovare nuovi strumenti e nuove risorse”.
La nuova Commissione di Ursula von der Leyen, infatti, ha presentato a metà gennaio il Green Deal, un ambizioso piano di investimenti da mille miliardi con l’obiettivo di una riconversione economica per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. E l’Italia ha pubblicato la versione finale del Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (Piniec) che fissa gli obiettivi nazionali al 2030 sull’efficienza energetica, sulle fonti rinnovabili e sulla riduzione delle emissioni di CO2.
Eppure, secondo il Vice Presidente di Kyoto Club Francesco Ferrante, “c’è ancora troppo scarto fra le dichiarazioni di intenti e le concrete azioni politiche per affrontare la crisi climatica. Vale per il Green Deal europeo, di cui vanno senz’altro apprezzate le novità e l’impostazione generale, e per le scelte del governo italiano il cui Piano è inadeguato sia in termine di target (riduzione delle emissioni, incremento dell’efficienza e percentuali delle rinnovabili) che di strumenti individuati per raggiungerli”.
La proposta scaturita dal convegno riguarda una “carbon tax” secondo la formula del cosiddetto “carbon dividents” che prevede “una redistribuzione delle entrate uguale per tutti i cittadini, consentendo così un guadagno netto per le fasce meno abbienti”. Volendo si potrebbe “ridurre la redistribuzione alla fascia più ricca della popolazione ed usare le entrate per accelerare il processo di decarbonizzazione.
L’Accordo di Parigi del 2015, ratificato da 195 Paesi aderenti alla Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, prevede l’impegno di mantenere la temperatura media globale al di sotto dei 2 gradi, con l’obiettivo di non superare gli 1,5 a fine secolo. Secondo il Rapporto del 2019 dell’Ipcc(il Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici dell’Onu) abbiamo già raggiunto un aumento della temperatura di 1 grado con un trend verso i 3 – 3,5 gradi al 2050, “una soglia di sicurezza non accettabile per avere effetti contenuti e gestibili”.
“Ad esacerbare gli effetti del riscaldamento climatico – ha sottolineato Catia Bastioli, presidente di Kyoto Club – contribuiscono l’eccessivo sfruttamento degli ecosistemi, sempre più fortemente impattati dall’azione dell’uomo, che preleva dalla terra senza mai rigenerarla, e l’inquinamento di acque e suoli. La bioeconomia circolare può rappresentare un’importante leva economica, nonché un’opportunità imperdibile di decarbonizzazione e di competitività per l’Italia che, trovandosi nell’area mediterranea, è sempre più al centro degli effetti del cambiamento climatico e della degradazione e desertificazione dei suoli”.
Il messaggio scaturito dalla giornata di riflessione del Kyoto Club è chiaro: occorre attuare un cambio di paradigma con norme capaci di gestire la transizione e senza dimenticare che questa partita va giocata con “la partecipazione di tutti gli attori lungo la filiera e della società civile, sperimentando soluzioni nuove con spirito pionieristico, con una educazione e formazione di qualità, promuovendo gli insegnamenti multidisciplinari, che mettano insieme la formazione scientifica e tecnologica e economico-umanistica”.