“La missione ‘Sophia‘ non bastava a bloccare l’ingresso delle armi. E non può più esistere. E non esiste più”, ha detto il ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio, alla riunione del Consiglio affari esteri dell’Ue. Secondo il capo della diplomazia italiana ciò che è necessario è “una nuova missione con un nuovo mandato”. Ed è di questo che si è parlato oggi, per poi arrivare una decisione unanime su uno schieramento militare marino e aereo — e ci sarà chiaramente un supporto terrestre. Su tutto ancora non sono state definite le regole d’ingaggio (servirà qualche settimana). “[La missione] darà un contributo navale importante che sarà dislocato sul lato est della costa libica, da dove arriva il flusso delle armi. Sarà una missione di sorveglianza e blocco delle armi”, dice Di Maio – che è stato il promotore dell’iniziativa, anche usando la sponda tedesca.
L’est della Libia è il lato controllato dal signore della Guerra della Cirenaica, Khalifa Haftar, che dal 4 aprile sta cercando di conquistare Tripoli – dove si trova il Governo di accordo nazionale, l’esecutivo internazionalmente riconosciuto guidato da Fayez Serraj. Ma la fascia orientale del Paese è soprattutto quella da cui affluiscono le armi che arrivano via mare dalla Turchia, che si è mossa a sostegno degli assediati della Tripolitania – mentre Haftar riceve aiuti dall’esterno secondo una rotta che parte degli Emirati Arabi e sfrutta aerei-cargo affittati da compagnie dell’est europeo (che spesso prima di arrivare a Bengasi fanno scalo in Egitto o Giordania).
Disporre le navi per ispezioni in quell’area dovrebbe garantire un checkpoint operativo contro la la linea di approvvigionamento. Inoltre dovrebbe scongiurare un effetto pull-factor, ossia evitare che la presenza delle navi possa essere vista come un’occasione per aumentare le partenze dei migranti. Quest’ultimo è un aspetto determinante, perché è stato quello più contestato dai Paesi che non volevano far ripartire l’Operazione Sophia per paura che le navi europee potessero essere viste come un porto sicuro. Su tutti l’Austria: i rappresentanti austriaci hanno avuto colloqui, e rassicurazioni, da Di Maio e dall’Alto rappresentante, Josep Borrell, e alla fine hanno evitato di porre il veto sulla decisione. Assicurazione ulteriore: la missione “verrà bloccata” se si dovesse verificare un incremento delle traversate migratorie — cosa per altro senza fondamenti statistici precedenti finora. Un elemento aggiuntivo, perché la crisi libica è ancora letta dai paesi europei come collegata al dossier immigrazione. Precisazione: non è chiaro ancora chi e come deciderà per l’eventuale blocco, e cosa lo farà innescare dal punto di vista tecnico. Condizioni che saranno specificate successivamente.
I traffici di armi sono tutti in violazione di un embargo imposto dalle Nazioni Unite nel 2011. Secondo la linea più volte espressa dal ministro italiano, interrompere l’arrivo in Libia di nuove armi è la migliore forma di garanzia per consolidare il flebile cessate il fuoco deciso con la Conferenza di Berlino. Accordo che è stato già svariate volte violato, con gli haftariani che spingono sull’acceleratore per conquistare Tripoli e il paese, mentre gli assediati anche in queste ultime ore hanno lanciato una serie di contrattacchi.
“Adesso l’Unione Europea s’impegna con una missione aerea, navale e con disponibilità anche terrestri – ha spiegato di Maio – per bloccare le armi e l’ingresso delle armi in Libia, perché se mancano le armi la Libia può ripartire”. Bruxelles, dice il grillino, ha “finalmente ascoltato l’Italia”, e “tutti gli Stati Ue sono d’accordo”, per questo “sono molto contento”. “È inutile pattugliare le coste a ovest, intercettando le rotte dei Migranti, perché lì lavoriamo con la guardia costiera libica”, ha aggiunto riferendosi all’accordo fatto dall’Italia con il governo di Tripoli – un’intesa rinnovata il 2 febbraio e molto contestata perché ha creato a terra dei campi di detenzione per i migranti dalle precarie condizioni umanitarie e perché Roma ha passato unità navali a miliziani tripolini pro-Serraj su cui poi si è costruita quella che adesso viene definita “Guardia Costiera”.