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La Cina, il petrolio e il bicchiere mezzo pieno. La versione di Tabarelli

Guardare il bicchiere mezzo pieno si può, anche quando si parla di Coronavirus, L’epidemia che sta mettendo in ginocchio la Cina, con ripercussioni sulle altre grandi economie globalizzate. Il suggerimento arriva da Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia, sentito da Formiche.net nel giorno in cui l’Opec, l’organizzazione mondiale dei Paesi produttori di petrolio, ha preso in considerazione il taglio della produzione di greggio. Motivo? Il virus ha fermato le industrie del Dragone, che di conseguenza non chiedono oro nero per poter funzionare. Di qui, considerando che parliamo della seconda economia mondiale in termini di Pil, un prevedibile eccesso di offerta a fronte di un calo della domanda (certificato peraltro da Fitch), da bilanciare a tutti i costi mediante un taglio alla produzione.

Tabarelli, in Cina la domanda di petrolio sta crollando a causa del Coronavirus. Non è un dettaglio…

Diciamo subito che parlare di nuovo cigno nero è esagerato. Ma un blocco dell’industria locale di queste dimensioni non era certamente prevedibile. Peraltro c’è da dire che piove sul bagnato perché venivamo già da una situazione di eccesso di offerta, visto che in questo momento al mondo di energia ce n’è davvero tanta.

La stessa agenzia di rating Fitch ha paventato un eccesso di offerta. E l’Opec valuta un taglio alla produzione.

Ma certo, gli arabi sono bravi a tirare fuori il petrolio e oggi di petrolio ce ne è ancora troppo. Se poi la domanda di un’economia di quelle dimensioni si ferma, ovviamente bisogna intervenire sulla produzione. Le do un dato se vuole…

Prego.

Questa mattina le grandi raffinerie cinesi hanno ridotto del 50% gli acquisti di greggio per i prossimi due mesi. Dobbiamo capire che stiamo parlando del primo importatore mondiale e del secondo consumatore sulla Terra. Se poi si tengono a terra gli aerei e ferme le navi, parliamo di 7 milioni di barili al giorno inutilizzati.

Ma l’Italia quanto rischia con questa emergenza, ormai, non solo cinese?

Tanto. Per un motivo molto semplice. Il nostro Paese vive di domanda esterna perché di quella interna ne è rimasta poca. E allora siamo costretti a vendere all’estero e se un’economia come quella cinese si ferma per noi è un guaio. Non siamo mica gli Stati Uniti, che di domanda interna ne hanno molta. Dunque un Paese come l’Italia che vive di turismo ed esportazioni pagherà un conto un po’ più alto degli altri. D’altronde oggi nel 2020 abbiamo un Pil pro-capite inferiore a quello del 2008…

La Cina supererà questa emergenza? E come ne uscirà dal Coronavirus?

Certamente, ci sono le basi e i fondamentali. Si tratta di una nazione con ampi margini di crescita, che consuma poca energia pro-capite e questo vuol dire che ne consumerà di più. Sì, ne uscirà. Però dobbiamo dire che in questa emergenza ci sono almeno due fattori positivi.

Addirittura. E quali?

La Cina è il più grande inquinatore mondiale. Il fatto che la sua industria si sia fermata è sicuramente una buona notizia in chiave green. Già quest’anno vedremo un minor consumo del carbone, proprio a causa del Coronavirus. D’altronde Pechino basa la sua industria sul carbone e se le fabbriche ne chiedono meno perché sono ferme, c’è meno carbone nell’aria.

Altro?

Sì, il prezzo del carburante. Alla pompa il costo sta scendendo. Per un Paese come nostro, che importa energia, con un calo del greggio possiamo risparmiare fino a 5 miliardi di euro. Soldi che volendo potrebbero andare a finanziare la crescita.

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