Per chi pratica la sociologia politica l’esperienza di assistere dall’interno al fenomeno che si intende studiare viene denominata “osservazione partecipante”. Si tratta di una tecnica di ricerca sul campo che prevede che chi studia un determinato fenomeno sia pronto a integrarsi in esso, per fruire del susseguirsi degli avvenimenti, per comprendere dinamiche interne alla comunità, per verificare natura, orientamento e sviluppo dell’oggetto di studio.
Coerentemente con queste premesse teoriche, questo articolo è frutto di un’esperienza immersiva all’interno della piazza convocata dal M5S per il pomeriggio del 15 febbraio. Si intende riportare, nella forma più diretta, l’esperienza vissuta fianco a fianco dei militanti, più che la natura della kermesse politica.
Il popolo Cinque Stelle, quello che voterebbe il Movimento in ogni caso, quello che è disposto a risparmiare e a svegliarsi presto per prendere il pullman per raggiungere la sede della manifestazione, quello che vede Toninelli come un punto di riferimento della piazza, non è cambiato molto dal Vaffa day ad oggi. La stessa rabbia contro le ingiustizie, il medesimo armamentario di fischietti, cartelloni e caschetti gialli, il corollario dei social, con le foto del gruppo dei pugliesi o dei lombardi rimane stabile nel tempo. Facce stanche, volti scavati, mani sporche di lavoro, rabbia e delusione verso un sistema che non va e non consente opportunità per sé, per i propri figli, per il futuro della comunità si qualificano come altrettante costanti, scavando dietro al folklore da manifestazione. I discorsi sulle difficoltà del futuro, in un Paese che rimane bloccato nonostante l’avvento del Movimento al governo sono diffusi. La base elettorale dei 5S, tuttavia, non attribuisce mai alcuna colpa alla classe politica che si alterna in brevi blocchi da pochi minuti sul palco. Luigi, Danilo, Paola, Barbara, Vito sono e restano i “ragazzi meravigliosi” della narrazione di Beppe.
Il popolo a Cinque Stelle, diviso tra una piazza non adattissima alle manifestazioni e la libera uscita su via del Corso, parla dei propri leader secondo due modalità: da un lato li considera delle celebrity, gli eroi che hanno fatto l’impresa di cancellare povertà, di abbattere i vitalizi, di aprire il Parlamento come se fosse una scatoletta di tonno; dall’altro li tratta come degli amici di vecchia data, chiamandoli per nome nei discorsi tra un passaggio sul palco e l’altro e incitandoli a gran voce. Sembra quasi che non siano passati, per questa base elettorale, gli anni difficili del primo ingresso in Parlamento, della conquista di città rilevanti per l’amministrazione come Torino e Roma, il nodo di gordio del passaggio lancinante dal governo giallo-verde al governo giallo-rosso.
Più cauti appaiono i leader politici sul palco. Non bastano i reclami di fronte al popolo Cinque Stelle di Vito Crimi, che non dichiara di non voler far cancellare nessuna delle riforme approvate in questi anni, menzionate una ad una, a futura memoria di chi dice che nei palazzi il M5S non ha conseguito risultati. Non è sufficiente il rito costituente del richiamo alla bandiera italiana e del canto dell’inno di Mameli di Luigi Di Maio e della piazza. Non convince fino in fondo l’amarcord di Paola Taverna, che rammenta i tempi della prima battaglia contro i vitalizi come momento di genesi del Movimento e che lamenta lo storytelling che considera la classe dirigente pentastellata poco adeguata. La classe dirigente del M5S comprende a fondo che la piazza è quella fedele fino all’ultimo, ma che il resto della base elettorale si è ristretto inesorabilmente e che sarà un’operazione politicamente molto complessa convincere nuovi elettori, con un’esperienza di governo logorante alle spalle, come quella del Conte 1 e del Conte 2.
Così, una certa ansia di lanciare il cuore oltre i grandi ostacoli del presente si percepisce nei discorsi di una classe dirigente che non propone per il futuro obiettivi, progetti, alternative, ma ricalca i propri stessi passi, in una narrazione in parte apologetica in parte giustificatoria. Questa circostanza può non essere un problema per chi è a Piazza Santi Apostoli e sta cercando proprio questo tipo di storytelling e domani, ripiegati i manifesti e rimessi in cantina gli elmetti gialli, tornerà a distribuire il verbo di Luigi, Paola, Vito sul posto di lavoro, al bar, in coda al supermercato.
Il quesito è invece per quella parte di Paese che, deluso dall’esperienza di governo (e non dalle rivendicazioni che il Movimento ha portato avanti durante la fase di opposizione), ha smesso di votare e che difficilmente riterrà in futuro il voto e la partecipazione politica come una strada per trovare risposta alle proprie difficoltà. A questi smarriti nella delusione, così come a tutto il resto del Paese che ha valutato non positivamente questi ultimi due anni di governo a Cinque Stelle, la classe politica che si è presentata a Santi Apostoli non ha offerto una proposta, una visione, un’idea di futuro, coerente con il processo di istituzionalizzazione del Movimento. Proprio da una riflessione su questa mancanza di strategia dell’élite, più che dalla capacità di portare ancora presenze in piazza, dovrebbe ripartire il percorso del Movimento.