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Coronavirus, niente allarmismi ma guardia alta. Il punto di Amorosi

Con i nuovi casi in Lombardia, la “situazione si è fatta più delicata”, ma occorre evitare allarmismi: il nostro Paese è ben preparato a fronteggiare l’emergenza, con “punte di eccellenza nel settore delle malattie infettive come lo Spallanzani di Roma e il Sacco di Milano” e le esperienze maturate sul campo delle Forze armate. Parola di Massimo Amorosi, esperto di studi strategici, già consigliere della Farnesina per biosicurezza e minacce Cbrn, acronimo che raccoglie le sfide chimiche, biologiche, radiologiche e nucleari. Intanto, il ministero della Salute ha emanato una nuova ordinanza dopo i casi segnalati in Lombardia. Prevede misure la quarantena obbligatoria per i contatti stretti con un caso risultato positivo, e dispone la sorveglianza attiva con permanenza domiciliare fiduciaria per chi è stato nelle aree a rischio negli ultimi 14 giorni con obbligo di segnalazione da parte del soggetto interessato alle autorità sanitarie locali.

Con la scoperta dei recenti casi in Lombardia, l’Italia sembra entrare in una fase nuova, certamente più delicata. È così?

Certo la situazione si è fatta più delicata da noi. La generazione di casi secondari è purtroppo sempre una possibilità che va messa in conto. Le indagini epidemiologiche dovranno a questo punto essere la chiave di volta per un contenimento.

Come valuta l’attuale situazione? Questa epidemia sembra preoccupare molto, anche a giudicare dalle ultime dichiarazioni del Direttore dell’Organizzazione mondiale della sanità.

Sars-CoV-2 è un betacoronavirus nuovo, ecco perché desta preoccupazione. I coronavirus non sono però affatto una novità. Quattro coronavirus sono ubiquitari nell’ambiente, responsabili sia di comuni raffreddori che di infezioni del tratto respiratorio (noti come HCoV-OC43, HCoV -NL63, HCoV-229E, e HCoV-HKU1). Erano tutti virus di origine animale, ma che avevano compiuto il salto di specie fino ad infettare l’uomo prima che potessero essere identificati. Due altri coronavirus animali hanno evidenziato capacità di infettare l’uomo negli ultimi due decenni, ossia Sars-CoV e MERS-CoV.

E quello con cui abbiamo a che fare?

SARS-CoV-2 rientra nella categoria dei virus emergenti, ma apparentemente non condivide in tutto le caratteristiche di questi ultimi. Un classico virus emergente si distingue per un’elevata letalità ma una bassa contagiosità. Dai dati finora disponibili, non sembra essere però questo il caso. Ovviamente serviranno ulteriori approfondimenti di tipo tecnico-scientifico.

Qualcuno ipotizza che il virus non sia di origini naturali. Lei cosa ne pensa?

Il salto di specie è un evento comune in natura e i pipistrelli, ad esempio, sono il serbatoio naturale di oltre un centinaio di altri virus, compreso Ebola. I coronavirus inoltre possono albergare anche negli animali domestici. È innegabile che i “wet market” diffusi in Cina, come quello di Wuhan, costituiscano un fenomeno che di fatto può alimentare emergenze di tipo epidemico. In questi contesti si riscontra una notevole promiscuità tra diverse specie animali e tra queste e l’uomo. Ciò nonostante, ad oggi non è stato ancora individuato il serbatoio animale del nuovo coronavirus, e ciò vale per il presunto legame con i pipistrelli così come con i pangolini, ritenuti da alcuni studiosi l’ospite intermedio del virus prima che giungesse a infettare l’uomo. Dobbiamo attendere l’esito delle necessarie indagini scientifiche.

Esiste il rischio di una pandemia?

A livello mondiale è necessario mantenere la guardia alta e diversi Paesi lo stanno già facendo. Il nostro Paese vanta punte di eccellenza nel settore delle malattie infettive come lo Spallanzani di Roma e il Sacco di Milano. Aggiungo che l’Italia è uno dei pochi Paesi al mondo a disporre, attraverso gli asset dell’Aeronautica militare, di capacità di trasporto in biocontenimento di pazienti infettivi o potenzialmente tali di primissimo ordine con il supporto di tecnologie all’avanguardia. In ogni caso, dobbiamo aspettare di capire l’evoluzione dei casi al di fuori dei confini cinesi per successive più puntuali valutazioni, soprattutto tenuto conto dell’apparente maggiore virulenza della malattia nella zona epicentro e in talune aree limitrofe come Singapore e, nelle ultime ore, la Corea del Sud.

Secondo lei, la risposta internazionale è stata adeguata?

Probabilmente l’Oms non si è mossa con tempestività, ma è anche verosimile che i dati resi disponibili dalle autorità cinesi prima della dichiarazione di emergenza sanitaria internazionale (Pheic) non fossero sufficienti o esaustivi. La collaborazione di Pechino ovvio è cruciale. Comunque un team dell’Oms è in Cina per interloquire con i colleghi cinesi. Anche l’Oie, che è l’organizzazione equivalente all’Oms per la salute animale, sta fornendo un prezioso supporto tecnico per raccogliere i dati scientifici utili.

Quali effetti potrebbero derivare a livello politico ed economico?

Si dispone ancora di pochi dati. Ma dobbiamo capire che la diffusione di una malattia infettiva, specie se dal potenziale pandemico, può dispiegare effetti destabilizzanti di ordine politico ed economico e in termini di stabilità sociale in una misura non comparabile ad altri fenomeni che abbiamo conosciuto in passato. Per questo motivo, questa non può essere trattata solo come un’emergenza di salute pubblica. In un mondo globalizzato e interconnesso come il nostro, emergenze epidemiche come quella attuale sono, e devono essere, pienamente riconducibili al perimetro della sicurezza nazionale. Oggi questa è per sua natura multidimensionale, e la tutela della salute pubblica è uno dei suoi pilastri fondamentali.


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