Milano. Uno dei fronti caldi dell’infodemia cognitiva e secondariamente dell’epidemia Covid-19.
Lunedì 24 febbraio 2020 intorno alle 8 del mattino, iniziano ad arrivare a me e ai miei colleghi, varie mail scritte con un linguaggio che non sentivo e leggevo da un po’.
Queste recitano più o meno così:
Egregi Signori,
con contiguità all’Ordinanza del Ministero della Salute del 21.2.2020 e in ossequio alle informazioni ricevuto dalle Autorità di Sanità Pubblica nonché nell’ambito dei vincoli di reciproco scambio di informazioni e coordinamento di cui al d.lgs. n. 81/2008, Vi avvisiamo che XXX ha pienamente impiegato le misure previste relative all’emergenza sanitaria Covid-19, con particolare riferimento alle aree geografiche oggetto delle disposizioni.
[…]
Siamo certi della piena coerenza anche da parte della Vs azienda alle disposizioni del Ministero della Salute, delle ASL Territoriali e delle Pubbliche Autorità nonché alle Ordinanze dei Sindaci, e quindi che non vengano condotte Vs attività per la ns Azienda nelle zone interessate e che Vs personale domiciliato in tali comuni non usufruisca degli spazi della ns Azienda.
[…]
Alcune attività verranno sospese e altre gestite in remoto, in attesa di conoscere l’evoluzione della emergenza sanitaria, […]
etc etc etc…
Benissimo – penso – in questo momento ci vogliono comunicazioni chiare. Poi però mi ricordo che siamo in un momento fuori dall’ordinario perché mai in tempi recenti in Italia si era arrivati a chiudere Scuole, Atenei, cinema, esercizi pubblici. E mai le aziende avevano attivato smartworking di massa o comunicato ai fornitori di non accedere ai propri buildings.
Così inizio a chiedermi si può gestire un cambiamento catastrofico con una mail e un linguaggio freddo? E un brivido mi attraversa la schiena. Perché mi ricordo di quante volte nella storia le emergenze hanno fatto saltare gli aspetti più umani, mettendo tutti contro tutti. Quando intorno dilaga la paura, dobbiamo porci il tema di restare umani. La distruzione del vivere civile sarebbe un terribile effetto del Covid-19.
Possiamo permetterci di gestire questa emergenza sanitaria ed allarme cognitivo con un comunicato stampa, un tono di voce inappropriato e una reazione basata solo sulla paura?
L’INFODEMIA COME OPPORTUNITÀ
Cerchiamo di giocare di anticipo. E facciamo un po’ di creazione di scenari. Immaginatevi i prossimi giorni. Soprattutto se l’emergenza continuerà oltre la settimana arrivando a due settimane o forse più.
Vi domando:
– cosa implicherà il lavoro dei singoli dipendenti in smartworking, cioè in attività remota che porterà a un possibile isolamento emotivo?
– cosa accadrà alle relazioni con i clienti e i fornitori a cui si dovrà dare una risposta di qualche tipo?
– quali implicazioni ci saranno sui diversi stakeholders che a loro volta non sapranno esattamente cosa fare e a chi rivolgersi?
Adesso fermatevi. Vedete quello che intravedo anche io?
Il bivio è evidente: o restiamo tutti soli o ci diamo una mano a vicenda restando umani.
Anche perché le infrastrutture tecnologiche delle aziende saranno messe a dura prova dai numeri dei dipendenti in smartworking; mi auguro che possano reggere. Tuttavia, la cosa che sarà messa più a dura prova sarà la fiducia reciproca tra aziende e dipendenti, tra aziende e fornitori, tra aziende e clienti.
In momenti difficili come questi le aziende non si possono accontentare di gestire l’emergenzialità attivando solo piani di smartworking e condividendo comunicati stampa, ben scritti ma asettici, serve porsi come interlocutore vicino ai dipendenti e ai clienti, credibile e che comunica in modo umano e caldo; mettendo in gioco i propri valori. I dipendenti e i clienti sono prima di tutto cittadini che hanno bisogno di trovare nell’azienda un baricentro che li aiuti ad orientare le proprie azioni in ambito professionale ma che al contempo sia un punto di riferimento chiaro e rassicurante anche per la vita sociale.
Così, l’emergenza sanitaria e cognitiva ci chiede e chiederà di entrare in una modalità straordinaria di comunicazione, motivazione, narrazione, percezione delle priorità con un tono di voce adeguato.
Questa implicherà la totale presa in carico del sociale d’impresa da parte delle aziende:
– sia il sociale interno – i dipendenti, gli staff, le reti vendita: chi li motiverà e gli spiegherà gli accadimenti in progress?
– sia il sociale esterno – clienti, fornitori, stakeholders: chi gli racconterà l’andamento emergenziale e le proprie posizioni aziendali?
Mai come oggi le organizzazioni e le aziende sono un punto di riferimento. E possono essere – in questa grave e preoccupante emergenza – un centro luminoso di ascolto, orientamento, motivazione, eduzione emotiva, diplomazia aziendale (o corporate diplomacy) intesa come gestione delle diverse anime interne / esterne. Non siamo più in una “crisi” normale.
Le teorie e le pratiche del crisis management classico ci servono fino a un certo punto. In questa emergenza sanitaria e cognitiva siamo piuttosto in un cambio radicale di percezione sociale di cui le aziende potranno o dovranno farsi carico attraverso precise azioni di presa di posizione. Alle unità di crisi dovrebbero affiancarsi vere a proprie unità di Content Production e Storytelling management per trasformare l’emergenza in un’occasione di relazione di valore. È il momento di incarnare, far vivere e agire il proprio purpose aziendale.
RESTARE UMANI. IL NUOVO RUOLO SOCIALE DI CEO, MANAGER, AZIENDE
I Ceo, i manager, e le aziende, loro malgrado, in questo momento straordinario, hanno e avranno un ruolo sociale importantissimo o dovranno assumerselo:
– Verso idipendenti interni – per evitare l’isolamento emotivo e tenerli motivati positivamente. Non oso immaginare cosa potrebbe accadere senza narrazione mirata ai 10, 100, 1000 o 10.000 dipendenti interni di una azienda.
– Verso i clienti esterni– per tenerli coinvolti e non perdere il contatto con loro. Se le aziende rimettono il legame commerciale ed emozionale, i danni economici potrebbero essere incalcolabili.
– Verso fornitori estakeholders – per mantenere viva una relazione di valore che rischia di cadere nel caos; perché senza contatto costante si perderebbero anni di fatiche reputazionali.
In momenti di emergenze sociali gravi come quella che stiamo vivendo, le aziende e gli individui che vorranno agire una leadership reale saranno – anche senza volerlo – chiamati ad agire. D’altronde, l’evento che stiamo attraversando cambia e cambierà la percezione delle priorità interne ed esterne a una azienda e non potrà essere gestita solo con mail, comunicati stampa e toni di voce burocratici.
Siete pronti? Per evitare di cadere nella quarantena emotiva e nella catastrofe economica, bisognerà attivare piani di intervento e di narrazione-comunicazione mirata per:
– definire esattamente la policy di intervento (chi interviene, come e quando) nel cambiamento catastrofico (non si può non agire);
– preparare i processi di narrazione e i contenuti madre della comunicazione aziendale per:
– diffondere i racconti corporate o di brand verso i dipendenti interni, per spiegare i cambiamenti in corso e le decisioni aziendali, tenendoli motivati
– garantire la continuità delle relazioni con i clienti esterni, i fornitori, gli stakeholders;
– dare vita, a valle della narrazione decisa, a una serie di campagne mirate di comunicazione e branding – su tutti i canali (carta, web, social, radio, tv) verso tutti i più rilevanti stakeholder;
– formare il proprio Ceo, i propri manager e le figure apicali a una narrazione chiara, puntuale e mirata, sapendola incarnare con coerenza e diplomazia;
– mappare il network complessivo di valore aziendale (clienti interni, clienti esterni, stakeholders, fornitori) e attivarlo a supporto delle proprie iniziative;
– diffondere velocemente una cultura sistemica di intervento per evitare un atteggiamento paternalistico o banalizzante (in una potenziale catastrofe ci vogliono messaggi adulti e non infantili).
In questo momento bisogna evitare paura, smarrimento e panico. Per scongiurare mostri peggiori: perdita di senso-appartenenza, rabbia, crolli di fiducia e fallimenti economici.
Abbiamo bisogno di ceo, manager, aziende, istituzioni, politici, Leader… che rispondano all’appello, che incarnino un ethos positivo, portino azioni risolutive e agiscano un impatto positivo sul mondo.
La differenza tra il momento in cui tutto crolla e quello in cui tutto inizia là fa il cuore. Uno stato di coscienza in cui siamo guidati dal bene collettivo e non dalla miopia dei ciclostili.