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La prescrizione è importante, velocizzare i processi civili di più. Cottarelli spiega perché

La prescrizione è importante, ma perché non mettere sullo stesso piano la giustizia civile? Specialmente se fa rima con politica industriale e magari anche con Pil. Nei giorni in cui il governo vive l’ennesimo scossone, stavolta il tema è la riforma della giustizia targata Alfonso Bonafede (nome del ministro grillino), entrata in vigore dal primo gennaio e che prevede la sospensione della prescrizione dopo il primo grado di giudizio, sia in caso di assoluzione sia in caso di condanna, Carlo Cottarelli, economista e direttore dell’Osservatorio sui conti pubblici in seno alla Cattolica, raggiunto da Formiche.net, dà la sua versione della storia.

L’ex commissario alla spending review, premier incaricato per pochi giorni nel maggio 2018 e da poco nelle librerie con il suo saggio Pachidermi&Pappagalli (presentato la settimana scorsa insieme al ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri), non mette in dubbio la necessità di una riforma della giustizia, sponda prescrizione. Ma le energie non possono essere concentrate solo lì.

Cottarelli, lei su Twitter ha scritto che intervenire sulla prescrizione è certamente importante. Ma… c’è un ma.

Sì, perché non possiamo dimenticarci anche della giustizia civile. Per l’economia oggi è essenziale velocizzare i processi civili, che se  arrivano in Cassazione, durano 4 volte di più che in Germania. Un divario inaccettabile. La prescrizione è una questione rilevante, ma forse ancora più rilevante è il funzionamento della giustizia civile, che oggi è uno dei principali interventi agli investimenti. E questo lo dicono gli imprenditori stessi.

Giustizia lenta, crescita lenta, insomma…

Sì. Ed è per questo che il governo dovrebbe occuparsi anche di questo oltre alla prescrizione. Se io faccio l’imprenditore e investo in Italia e devo andare in contenzioso dal giudice perché la controparte non si è comportata bene e ci metto otto anni per ottenere giustizia con il terzo grado di giudizio, secondo lei ci torno a investire in Italia?

No. E forse andrei a investire altrove.

Le dico solo che in Germania i processi durano due anni, compreso il terzo grado di giudizio, in Spagna poco di più. Dobbiamo mettercelo in testa, per chi investe, i tempi della giustizia sono fondamentali. La giustizia è il metro di misura dell’investimento e non lo dice Carlo Cottarelli ma lo dicono gli imprenditori.

Esistono delle stime che possano quantificare l’impatto sul Pil della giustizia lumaca?

Qualche anno fa la Banca d’Italia fornì della stime (nel 2011, fino a un punto di Pil perso, ndr). Però francamente stime a parte, mi sta più a cuore quello che dicono gli imprenditori. E gli imprenditori dicono che con una giustizia troppo lenta è difficile investire.

Cottarelli dica la verità, è più importante la riforma della giustizia civile in chiave industria o la prescrizione?

Difficile dirlo, non si possono fare tutte e due insieme anche perché sono due cose profondamente diverse. Però, se il punto di vista è quello dell’economia allora le rispondo che è più importante intervenire sulla giustizia civile. Poi, la prescrizione sarà anche importantissima per motivi morali e per il funzionamento della società. Ma sull’economia non ho dubbi.

Ieri il ministro dello Sviluppo, Stefano Patuanelli, ha messo in cantiere un piano per l’industria nazionale, che vada oltre il concetto di 4.0. Però, come spesso accade, i buoni propositi si scontrano con una realtà dei fatti che racconta, per l’appunto, un’Italia dei tribunali lenta, lentissima. Come la mettiamo?

Le rispondo dicendo che la miglior politica industriale è quella che fa funzionare meglio l’economia e quindi oggi la miglior politica industriale è una giustizia che funzioni e vada spedita. Non è che facendo azioni mirate e specifiche per l’industria, come può essere questa, purtroppo si evitano grandi problemi come quello di cui stiamo parlando e come una burocrazia macchinosa e complessa. Le imprese non chiedono incentivi, che tra l’altro costano soldi dei contribuenti, le imprese vogliono una macchina statale che funzioni. Giustizia inclusa.

Parliamo d’Europa. La settimana scorsa, presentando il suo libro, lei ha descritto un’Italia incapace di ammettere le proprie colpe e i propri fallimenti, imputandoli, per esempio, a Bruxelles. Si arriverà mai a un vero esame di coscienza nazionale?

Innanzitutto chiariamo che certe colpe vanno ascritte agli altri Paesi e all’Ue stessa, come per esempio certe scelte nella gestione della crisi dell’euro. Però l’Italia è finita in quella crisi perché aveva, e ha, grossi problemi che non ha risolto perché non è stata capace di farlo. Se ce la faremo dipende solo da noi, ma certamente se continueremo a dare la colpa solo agli altri sarà solo un alibi per non fare nulla e rimanere immobili.

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