Il ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio, è stato in Libia, a Tripoli – saltata invece la tappa prevista in Cirenaica, perché non era in sede il signore delle guerra dell’Est, Khalifa Haftar. Il lavoro sulla doppia sponda resta comunque parte di quella che il ministro grillino chiama “la strada”, “un approccio inclusivo, coinvolgendo tutte le municipalità libiche e dialogando con tutte le realtà”. Nei prossimi giorni, forse già domani, è previsto anche il contatto con Haftar.
Incontrando il premier Fayez Serraj e il ministro degli Interni, Fathi Bashaga, Di Maio ha sottolineato che “l’Italia sarà determinante in ogni scelta europea. Nessuno come noi conosce la Libia, nessuno come l’Italia ce l’ha a poche centinaia di chilometri dalle proprie coste”.
L’obiettivo di Di Maio era parlare sia del memorandum sul controllo dell’immigrazione che del cessate il fuoco. Due aspetti anche connessi, in quanto un teatro instabile è un ambiente più lasco per il traffico di esseri umani. E non solo: l’instabilità permette la proliferazione dei gruppi terroristici. Durante i mesi della campagna haftariana si è visto per esempio che ha ripreso le proprie attività (sia in azioni che di propaganda) lo Stato islamico libico, sconfitto tre anni fa grazie alle forze di Misurata che ora difendono Tripoli.
“C’è un rischio terrorismo che non possiamo sottovalutare, Paesi che ignorano la pace e che continuano ad armare le parti sul terreno. Non possiamo accettarlo”. Il riferimento è alle continue violazioni dell’embargo che dal 2011 dovrebbe vietare le spedizioni di qualsiasi genere di armamenti in Libia. E invece le armi arrivano con continuità su ambo i lati: Tripoli riceve aiuti militari dalla Turchia, Haftar dagli Emirati Arabi (via Egitto). L’Italia “continua a lavorare per il rispetto dell’embargo sulle armi e per portare le parti a un cessate il fuoco permanente”, dice Di Maio.
Nelle ore in cui il capo della diplomazia italiana era in Libia, il premier Giuseppe Conte ha avuto una conversazione telefonica con Vladimir Putin. A rendere noto il contatto Roma-Mosca è stato il Cremlino (sul sito ufficiale), che specifica che è stata l’Italia a cercare la Russia per parlare di come proseguire il lavoro congiunto “volto a conseguire la normalizzazione a lungo termine della Libia”.
I russi sono tra i sostenitori di Haftar. Nei mesi scorsi alcuni contractor militari di una società molto vicina al Cremlino erano stati dislocati sul fronte tripolino. Avevano portato professionalità e armamenti che gli haftariani non avevano – per esempio erano loro i sistemi che avevano abbattuto un drone statunitense e probabilmente anche uno italiano (s’era creato anche un caso diplomatico con Washington, perché gli americani avevano denunciato i russi che non stavano restituendo i rottami del mezzo).
Da ricordare che di questo schieramento russo si parlava in modo aperto e diretto, tanto che gli Stati Uniti avevano vissuto l’unica fase attiva sulla crisi – dall’inizio dell’offensiva di Haftar – proprio per spingere i russi a rallentare il sostegno all’uomo forte della Cirenaica. Il ministro Di Maio aveva glissato invece quando, durante la visita dell’omologo russo a Roma, gli era stata fatta una domanda specifica sullo schieramento in conferenza stampa. Successivamente aveva confermato di esserne a conoscenza.
Con un minimo investimento, la Russia si era costruita in Libia un ruolo di primo piano che aveva prodotto una sottovalutazione degli interessi, molto più forti, di Emirati ed Egitto. Tant’è che l’attuale cessate il fuoco è stato mediato durante una riunione tra Putin e il turco Recep Tayyp Erdogan qualche giorno prima della conferenza internazionale che si è svolta a Berlino. Oggi, prima di Conte, Putin ha sentito al telefono anche il presidente turco: conversazione incentrata sulla Siria, che è un punto di crisi delle relazioni russo-turche, ma è potenziale l’incrocio di dossier a cavallo del Mediterraneo.
Attualmente, pur mantenendo un ruolo politico attivo, si nota un disingaggio da parte dei russi. Secondo diverse interpretazioni, a Mosca non c’è compattezza sullo schierarsi nettamente con un lato e, consequenzialmente, aumentare il coinvolgimento nel dossier libico. Se dalla Difesa si è spinto per mandare i contractors, dagli Esteri c’è molta più attenzione a non esporsi su un altro fronte caldo con il bandolo siriano ancora da districare.
(Foto: Facebook, Luigi Di Maio)