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Chip e semiconduttori. Il (nuovo) piano di Trump per fermare Huawei

Esteri, Difesa, Commercio. Uno dopo l’altro, i principali Dipartimenti dell’amministrazione Trump si stanno muovendo per mettere alle strette Huawei, il colosso della telefonia mobile cinese accusato di spionaggio per conto del Partito comunista cinese (Pcc). Dopo il duro affondo alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco dei titolari dei dipartimenti di Stato e Difesa, i segretari Mike Pompeo e Mark Esper, che hanno definito Huawei “un cavallo di Troia” di Pechino nella rete 5G, ora, secondo indiscrezioni di Reuters, è il turno del dipartimento del Commercio di Wilbur Ross.

Il ministero di Constitution Avenue starebbe elaborando un piano per impedire l’acquisto da parte di aziende cinesi di chip prodotti con componenti di fabbricazione statunitense. Nello specifico, i funzionari del dipartimento stanno studiando una modifica della “Foreign direct product rule”, la normativa introdotta nel 2010 che prevede una serie di rigidi controlli su tutti i prodotti tecnologici fabbricati all’estero e soggetti allo scrutinio della Ear (Export administration regulations).

Nel mirino del bureau oggi c’è, fra le altre, la compagnia di Taiwan Tsmc, il più grande produttore di chip e semiconduttori al mondo. Perché? Semplice: più del 10% delle vendite globali di Tsmc, che nel 2019 sono ammontate a 35 miliardi di dollari, provengono da Hi-Silicon, azienda produttrice di chip sussidiaria di Huawei. Un colpo a Tsmc, è il ragionamento del governo americano, può rallentare considerevolmente gli investimenti in ricerca e sviluppo di Huawei e delle sue aziende satellite.

Tra le opzioni al vaglio del dipartimento di Ross c’è l’introduzione dell’obbligo per le aziende che usano equipaggiamento statunitense di richiedere una licenza al governo americano prima di vendere chip a Huawei. Non è la prima volta che il gigante tech di Taiwan viene preso di mira dagli Stati Uniti nella contesa globale per il 5G. Già a novembre, aveva riportato il Financial Times, alti funzionari del governo americano avevano fatto pressioni su Taiwan per interrompere la vendita di chip di Tsmc a Huawei, spiegando che “finiscono dritti nei missili cinesi puntati contro Taiwan”.

La mossa è considerata un azzardo da diversi addetti ai lavori, perché rischia di trasformarsi in un boomerang per l’industria americana dei chip e dei semiconduttori, che è strettamente interconnessa alle aziende asiatiche. Tsmc, per fare un esempio, ha fra i suoi maggiori clienti, oltre a Huawei, le americane Apple e Qualcomm. Altri grandi produttori mondiali di semiconduttori made in Usa, come Applied Materials o Lam Research, potrebbero risentire delle nuove misure. Il prossimo 28 febbraio, riporta il Wall Street Journal, ci sarà un’altra, decisiva riunione off the records di funzionari del Commercio per definire l’entità delle restrizioni.

Se confermata, la stretta del dipartimento si inserirebbe in un’accelerazione diplomatica degli Stati Uniti per convincere i partner occidentali, a partire dai Paesi europei, a non appaltare la rete 5G alle aziende cinesi, scegliendo piuttosto le uniche due competitors del colosso di Shenzen, la finlandese Nokia e la svedese Ericsson. Nonostante l’escalation delle ultime settimane, culminata nella Conferenza sulla Sicurezza a Monaco dove è andato in scena un duro confronto fra funzionari del governo americano (e la speaker della Camera Nancy Pelosi) e alti dirigenti di Huawei presenti, non si è ancora di fronte a uno scontro frontale. Prova ne è la decisione della Casa Bianca di rinnovare per altri quattro mesi la sospensione del bando presidenziale introdotto lo scorso maggio e che prevede la sospensione da parte delle compagnie americane di qualsiasi contratto con Huawei e altre compagnie cinesi come Zte.


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