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La crisi a Idlib è un braccio di ferro fra Erdogan e Putin. L’analisi di Marta Ottaviani

La soluzione sulla crisi siriana è a rischio, ma anche l’alleanza fra Turchia e Russia non se la passa molto bene. La situazione nella zona di Idlib rimane incandescente e adesso tutti gli occhi sono puntati sul Cremlino.

Il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, oggi ha dichiarato che a breve ci sarà un altro colloquio con la controparte russa. La data non è stata ancora resa nota, ma Ankara sta premendo perché avvenga al più presto soprattutto dopo che ieri altri cinque soldati della Mezzaluna hanno perso la vita e dopo le sei vittime di dieci giorni fa.

Mosca per il momento ha preso tempo. Oggi il Cremlino ha dichiarato che gli attacchi di Ankara alle truppe russe e siriane devono finire e deve essere rispettato l’accordo che era stato raggiunto sul nord della Siria anche con la Turchia.

Facendo un piccolo ripasso delle puntate precedenti, Ankara è dal 2010 una delle maggiori oppositrici del governo del presidente Bashar al-Assad e dal 2016 alleata di convenienza della Russia, che invece Assad lo sostiene con tutti i mezzi in suo possesso. Non solo. La Turchia è stata accusata di sostenere frange della cosiddetta opposizione siriana che sono quanto meno dubbie, secondo Damasco e Mosca anche legate a gruppi islamici radicali.

Questo non ha fermato il presidente Erdogan dal voler giocare un ruolo chiave nella soluzione della crisi nel Paese con una strategia senza esclusione di colpi, culminata con l’invasione di fatto del nord della Siria nell’ottobre scorso, ufficialmente per contrastare il rischio terroristico, ufficiosamente per indebolire la minoranza curda e creare una zona di influenza in questa parte del territorio siriano. Un modo per fare rivivere l’antico sogno ottomano, aumentare il prestigio della Turchia in campo internazionale e poter ricollocare almeno una parte degli oltre 3 milioni di rifugiati che ospita da tempo sul suo territorio nazionale, con tutte le conseguenze sull’economia e sulla sicurezza.

Putin per un po’ ha lasciato fare, ma quando l’alleato si è avvicinato alla zona di Idlib ha fatto capire che quello era un confine da non valicare. La città infatti ha una importanza enorme dal punto di vista geografico e strategico. Conquistarla per Assad significherebbe aver vinto la guerra, per la Turchia aver strappato a Damasco il controllo di una parte importante del Paese.

Entrambe insomma vogliono la stessa cosa, ma non solo Mosca non le può accontentare tutte e due. Non è affatto d’accordo che la Turchia si espanda oltre al limite raggiunto.

“Per il momento riteniamo importante che vengano rispettati i patti conclusi fino a questo momento. Consideriamo queste sortite nel territorio di Idlib inaccettabili” ha dichiarato, il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, per il quale, insomma la Turchia la deve smettere.

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, però, appena pochi giorni fa, ha dichiarato che la Mezzaluna è pronta ad andare avanti e ha fatto schierare oltre 200 blindati oltre il confine. Un chiarimento con l’alleato russo, una volta per tutte, non sembra più rimandabile e Ankara dovrà scegliere fra gli accordi in campo economico ed energetico che i due Paesi hanno in piedi e la sua agenda estera.

Non è quindi un eccesso dire che la Siria per la Turchia è certamente una partita importante, ma l’obiettivo reale per Erdogan è fare capire a Putin che la loro alleanza deve essere un accordo win win e non un patto dove Mosca ha sistematicamente la meglio su Ankara. La risposta adesso spetta al Cremlino, per il quale però stavolta potrebbe essere arrivato il momento di usare il pugno di ferro.

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