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Knut Hamsun, scrittore iperboreo ed ecologista dimenticato dagli iperborei letterari

Torna “Iperborea”. La rassegna di cultura nordica si ripresenta a Milano dal 27 febbraio al 1 marzo, al Teatro Franco Parenti, organizzata ed ideata dalla casa editrice Iperborea che ha il merito, da anni, di farci conoscere la produzione letteraria nordeuropea, onestamente tra le più convincenti di questo momento. Letteratura, musica, cinema, laboratori, perfino attività per bambini: non mancherà nulla. Soprattutto non mancherà un sontuoso riconoscimento a Greta Thunberg, la giovanissima che sembra abbia scoperto l’ambientalismo. La piccola svedese è diventata una star mondiale, e come tale la troviamo come il prezzemolo in tutte le manifestazioni. Ha scritto, un libretto, è vero, ma che c’entra con la letteratura scandinava?

Non c’è posto, invece, e la sua esclusione non si giustifica neppure in una rassegna proiettata tutta sulle nuove tendenze, quest’anno come nel passato, per il più grande scrittore norvegese di tutti i tempi, del quale Iperborea, peraltro, ha pubblicato alcuni romanzi. Sarebbe stato bello (e lo sarebbe in qualsiasi momento) far conoscere ai giovani e ricordarlo a chi è avanti con gli anni Knut Hamsun (1859-1952) un mito letterario che ha travalicato da tempo immemorabile i confini della Scandinavia per porsi come idealtypus di una letteratura, oltre che ricca di suggestioni, originale dal punto di vista contenutistico e strutturale.

Ma Hamsun non fa parte dello star system letterario e, dunque, nessuno spazio per lui.

Suppliamo alla mancanza, per come possiamo, ricordando che Hamsun in Italia è molto noto, e non da qualche anno. I suoi romanzi hanno avuto sempre una grande fortuna inversamente proporzionale alle disavventure dell’autore delle quali parla diffusamente, nella più completa biografia del Premio Nobel per la letteratura nel 1920, lo studioso finlandese Tarmo Kunnas del quale l’editore di Settimo Sigillo ha pubblicato qualche anno fa L’avventura di Knut Hamsun, mentre Adelphi ha mandato in libreria alcuni dei suoi più significativi romanzi. Materiali per farsi un’idea della sua opera complessiva, dunque, ma soprattutto del suo pensiero e delle sue controverse opinioni politiche per le quali venne ostracizzato e demolito nell’immediato dopoguerra, non mancano. Il libro di Kunnas, oltretutto, mette fine ad una “demonizzazione” scandalosa, riconducendo Hamsun nell’alveo della letteratura europea del Novecento nella quale occupa un posto di grande rilievo.

In occasione dell’attribuzione del Nobel, Thomas Mann disse che mai era stato assegnato a qualcuno che lo meritasse di più; Kafka, Brecht, Miller furono ammaliati dal suo stile; Isaac Bashevis Singer riteneva che la “tutta la letteratura moderna deriva da Hamsun”; Eugenio Montale lo considerava “il più degno successore di Ibsen e Bjornson nel cielo della moderna letteratura europea”.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale venne “gettato” in un “cattiverio” dal quale non sarebbe più dovuto uscire per decreto dei quegli stessi che stabilirono la “morte civile” per Ezra Pound, vincitori incuranti del suo genio e poco inclini a tenere separate arte e politica, costruirono attorno ad Hamsun una sorta di cordone sanitario del quale lo scrittore diede contezza nel suo esame di coscienza Io traditore. È vero che appoggiò Quisling, ma non aderì al nazionalsocialismo. Furono piuttosto, come scrive Kunnas, il suo antiamericanismo e l’ostilità all’Inghilterra, “potenza mercantile” che detestava, a negargli la “rispettabilità”. Per questo prima venne internato in un ospizio e poi in un manicomio. L’accusa, infondata, ancorché feroce, fu di “intelligenza con il nemico” e “collaborazionismo”. Un intellettuale “delinquente”, insomma. Come Pound, Brasillach, Drieu La Rochelle, Céline... Il tempo comunque è galantuomo e su Hamsun non si è depositata la polvere.

La sua opera, infatti, resta integra dal punto di vista letterario e conosce una rivalutazione sorprendente (a parte la voluta dimenticanza nei vari festival di letteratura nordica) per i caratteri originali che presenta. L’ostilità al materialismo, al mercantilismo, all’assolutismo del denaro, ai condizionamenti dell’industrialismo, al “pensiero unico”, insomma, ne fanno un antesignano della difesa della natura e dell’identità culturale del suo Paese, non meno che di tutte le differenze, come evidenzia Kunnas. Quella stessa natura che viene celebrata omaggiando una ragazzina ed un impalpabile movimento di opinione ambientalista, trascurando scrittori come Hamsun che dell’ecologismo ante-litteram permeò la sua produzione letteraria. Non foss’altro che per questo un posto in una rassegna come quella milanese avrebbe dovuto occuparlo, a testimonianza che la questione del rapporto uomo-natura è stato vissuto culturalmente, da oltre un secolo suscitando movimenti politici e letterari tra i quali un ruolo di tutto rispetto merita proprio ad Hamsun.

Di più. Per il suo biografo Kunnas, Hamsun “rappresenta uno degli analisti più perspicaci riguardo sia ad alcune forme estreme del mercato e dell’industrializzazione, sia alla vita politica”. In aggiunta, egli non esalta solamente la “grandezza dell’uomo europeo”, ma ne mette in evidenza anche i limiti. Ed ancora rivela “il lato arcaico di ogni uomo e dell’intera umanità”, dimostrando che il destino della persona è tutt’altro che agevole da definire e determinare nel contesto della civiltà moderna.

kntDi tutto questo lo Stato norvegese, alla fine della guerra, non tenne conto accanendosi contro Hamsun ben oltre ogni plausibile ragione, posto che lo scrittore  non si era macchiato di nessun crimine ed aveva quasi novant’anni. Oggi lo consideriamo uno scrittore “postumo”. E Kunnas ci ricorda la sua “avventura”. Che ritorna con la ripubblicazione da parte dell’editore Fazi di quello che fu il suo ultimo libro, Per i sentieri dove cresce l’erba nel quale  fece bene a mettere in chiaro in quella sorta di diario come stavano le cose; un libro di frammenti, memorie, suggestioni, difensivo e mai offensivo che va letto oggi come da pochi venne letto a dieci anni dalla scomparsa dello scrittore, nel 1962, quando apparve in Italia edito dal Borghese con il titolo Io, traditore, senza suscitare particolare interesse.

I tempi sono cambiati, almeno così sembra. Per i sentieri dove cresce lerba (nuovo titolo, nuova traduzione) non può che essere accolto come l’esame di coscienza di uno scrittore che non cerca giustificazioni, ma reclama soltanto il diritto ad essere giudicato per le sue idee che, in ogni caso, non prefigurando delitti, non potevano essere messe alla sbarra. È perciò un libro che ci interroga sulla libertà di pensiero e sulle dimensioni dell’intolleranza esercitata soprattutto contro gli intellettuali.

Quando la Cassazione emise la sentenza, Hamsun finì di scrivere. Dopo quattro anni di silenzio, si spense. Aveva novantatré anni e si addormentò nella contemplazione della “sua” natura scandinava che aveva fatto da sfondo a quasi tutti i suoi romanzi. Un vero “iperboreo”, figlio di una etnia estremo-nordica, cara ad Apollo.

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