In un articolo del Nikkei Asian Review (Hiroyuki Akita) del 4 febbraio scorso sono apparse le preoccupazioni del Giappone e della Corea del Sud per le insistenti richieste del presidente Donald Trump di farsi carico delle spese totali sostenute dagli Usa per la difesa dei loro Paesi, non solo per lo stazionamento delle truppe, ma anche per il mantenimento dell’ombrello nucleare.
I due Stati già pagano alti contributi agli Usa, per il 75-80% delle spese sostenute il Giappone, e per il 40% la Corea del Sud. Tokyo nel 2019 ha già rimborsato a Washington ben 4 miliardi di dollari e ritiene che un ulteriore rincaro dei rimborsi, che potrebbero comprendere anche gli stipendi del personale Usa, potrebbe essere percepito dal Paese come un servizio difesa fatto da mercenari, invece che tra alleati, ovvero una privatizzazione del settore difesa simile ai servizi offerti dalla società Blackwater di Erik Prince. Inoltre, la richiesta aggiuntiva americana di pagare anche per l’ombrello protettivo nucleare lascia i due Paesi sconcertati.
Gli Stati Uniti, dal loro canto, affermano che mantenere un sistema di monitoring e di prontezza delle forze per esercitare la deterrenza nucleare risulta essere costoso per i cittadini americani.
Tutte le richieste Usa stanno spingendo anche l’opinione pubblica coreana verso l’idea che la Seul debba poter disporre un proprio arsenale nucleare (sondaggio Gallup Corea: 60% della popolazione). Gli Usa vengono oggi percepiti, sia in Giappone sia in Corea del Sud, come “spremitori” delle risorse finanziarie dei Paesi alleati. In Europa non è stato ancora condotto alcun sondaggio sulla percezione delle richieste Usa fatte ai Paesi facenti parte della Nato. Quest’ultime potrebbero essere foriere di potenziali rischi per le alleanze e per la sicurezza globale: molti Paesi potrebbero essere incoraggiati a ripensare il rapporto con Washington.
Peraltro, a un’ipotetica condivisione dei costi dovrebbe corrispondere anche una condivisione delle conoscenze sulle capacità nucleari e dei sistemi di comando e controllo. Ciò appare allo stato attuale molto remoto, anzi impossibile per problemi legati alla sicurezza nazionale Usa. In altri termini, è giusto che i costi della deterrenza non ricadano tutti sugli Stati Uniti, ma è anche vero che, agli aggiornamenti delle capacità tecnologiche militari debbano partecipare anche le industrie dei singoli Paesi, con la condivisione dei sistemi di comando e controllo da parte degli alleati.
A monte, comunque, vi sarebbe un altro grosso problema ancora non risolto, ovvero come ripartire i livelli di deterrenza per gli Usa e quelle dedicate ai Paesi alleati. Se gli alleati degli Stati Uniti si dotassero di armamenti nucleari, il regime di non proliferazione sarebbe destinato al tramonto, proprio nel momento in cui ogni sforzo di dissuasione è profuso per arginare le aspirazioni della Corea del Nord e dell’Iran.
Il problema delle richieste statunitensi sarà mantenuto in limbo fino al prossimo novembre e si riproporrà con più insistenza dopo le prossime elezioni presidenziali, non solo per i due Paesi asiatici, ma anche per la Nato dove vige la richiesta del 2% del Pil del singolo Paese per le spese difesa, con risposte ambigue e non decifrabili da parte di alcuni Paesi europei. La mercificazione delle alleanze può portare all’outsourcing della guerra che secondo Michael Sandel (“Tutto si vende anche l’onore”, intervista al Corriere della Sera a Massimo Gaggi), “altera i meccanismi di decisione democratica, corrompe il civismo e il principio di responsabilità politica”.
Il presidente francese Emmanuel Macron qualche giorno dopo la visita di Trump in Asia, forse sulla scia di quanto accaduto, ha dichiarato che desidererebbe che l’Europa fosse “potenza nucleare” e che gli europei non siano più spettatori in una nuova corsa agli armamenti che avrà effetto anche sul territorio dell’Ue.
Il trattato Inf è già saltato e per l’accordo denominato “new Start” che terminerà i suoi effetti il prossimo 5 febbraio non si avvertono le premesse diplomatiche per una sua possibile e opportuna estensione. Con la sua decadenza la sicurezza globale risulterebbe molto a rischio. Il presidente Macron avverte la possibilità di una nuova competizione militare e nucleare simile a quella già sperimentata negli anni Sessanta e propone la propria forza nucleare, anche se modesta, al servizio dell’Europa, in un quadro di costruzione del pilastro europeo della difesa, in sinergia con gli Stati Uniti. L’iniziativa ha il pregio di poter divincolare l’Europa dalla querelle con gli Usa di chi paga e per che cosa, ma si scontra con la non ancora sopita diffidenza tra Paesi europei, nemica della fiducia reciproca ora necessaria per costruire una sovranità europea federale e condivisa.
La nuova corsa al riarmo nucleare sarà agevolata dal raggiungimento delle nuove capacità tecnologiche ipersoniche da parte di Cina e Russia, che ha reso insufficiente tutto il sistema antimissile Usa facendo decadere, di fatto, il sistema di deterrenza americano basato sul sistema antimissile e sulle forze convenzionali. Nel 2004, gli Stati Uniti fecero una scelta di campo, ora rivelatasi poco lungimirante, sotto finanziando le ricerche tecnologiche sull’ipersonico a favore della ricerca sullo spazio, L’offerta francese purtroppo non potrà essere, allo stato attuale, di peso per riequilibrare la sicurezza globale, perché le trecento testate nucleari a disposizione sono carenti della nuova capacità tecnologica legata all’ipersonico.
Per converso, però, l’iniziativa potrebbe aprire alla possibilità di poter condividere lo sviluppo, su scala europea, delle nuove capacità ipersoniche con la costituzione della iniziale base industriale della difesa europea che potrà svilupparsi solo sui nuovi prodotti tecnologici. Peraltro, non si vedono positivi margini finanziari per i singoli Paesi europei di poter finanziare grandi progetti tecnologici su scala nazionale, per i necessari e urgenti adeguamenti richiesti dal quadro strategico.
La leva finanziaria, per la nuova progettualità militare europea in sinergia con la Nato è nelle mani dell’Unione europea, che rafforzerebbe così anche i rapporti transatlantici. L’alternativa, per l’Europa, è quello di continuare sulla strada già conosciuta della irrilevanza strategica, facendo mancare il necessario apporto (europeo) alla sicurezza globale. L’azione europea nel campo della difesa aiuterebbe i singoli Paesi a recuperare energia politica evitando l’attuale lento ma inesorabile sfarinamento di idee e principi politici della vecchia Europa, legati dalla rissosità esterna e interna priva comunque, di progettualità e di economia di scala per il futuro delle proprie nazioni. In assenza di decisioni importanti da parte dell’Unione europea prepariamoci ad estenuanti e inconclusivi dibattiti strategici a partire dalle prossime elezioni di novembre in America, possibilmente in cooperazione col Giappone e Corea del Sud, per fare fronte comune alle nuove richieste di sharing degli Stati Uniti.