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M5S, la Cina e il coronavirus. Parla Antonio Zennaro (Copasir)

Antonio Zennaro, trentasei anni, nato a Padova, è un deputato del Movimento Cinque Stelle, membro della Commissione Bilancio e Finanze. Ma è anche uno dei dieci parlamentari che compongono il Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica), l’organo bipartisan di raccordo fra Parlamento e Servizi italiani. Una doppia lente che gli permette di guardare alla cronaca con uno sguardo a 360°. Con lui abbiamo fatto una radiografia dei guai del Movimento, e del governo Conte bis. Ma anche della salute del Sistema Paese e della politica estera italiana, che di settimana in settimana sono sottoposti a un check-up del comitato di Palazzo San Macuto.

Zennaro, il Movimento Cinque Stelle non è in grande spolvero.

Il momento di difficoltà è evidente. L’attuale infrastruttura è stata pensata alla luce di altre percentuali. Ora, dopo quasi due anni di governo, deve essere ripensata.

Come?

Al passo con i tempi. Bisogna rivedere il rapporto con fra iscritti ed eletti della piattaforma, la selezione delle candidature, la scelta e il modello stesso di capo politico. E soprattutto la rete territoriale, che è la chiave del successo dei partiti che oggi svettano nei sondaggi, come Lega, Pd e Fdi. I “movimenti leggeri” rischiano di cedere il passo a quelli più strutturati.

Si parla di un ticket Appendino-Di Battista per frenare la svolta a sinistra benedetta da Beppe Grillo. È giusto rimettere in asse il Movimento?

Destra e sinistra tradizionale sono venute meno. Il Movimento dovrebbe farsi forte della sua identità, e valutare caso per caso cooperazioni con altre forze politiche all’interno della piattaforma di governo.

Quindi avanti tutta con il Pd.

Non dovremmo nascondere di stare al governo con il Pd, né averne paura. A livello territoriale se ci sono le condizioni possiamo lavorarci insieme. Se non ci sono, è il caso di un candidato che sostiene le trivelle, si corre da soli.

Anche alle regionali?

Ripeto, valuteremo di volta in volta. Anzi, sta ai candidati valutare insieme al capo politico se c’è interesse o meno a cooperare con altri movimenti. In questo senso la piattaforma dovrebbe dare più voce ai portavoce regionali e locali.

Si avvicinano gli Stati Generali. Arriva la resa dei conti?

Ma no, nessuna resa dei conti. Sono invece l’occasione per chiarire definitivamente che Movimento vogliamo non da qui a un mese, ma da qui a dieci anni. Altrimenti a ogni accenno di crisi ci troviamo in difficoltà.

Di Battista sta tornando dall’Iran. Può salvare lui il Movimento?

Credo poco alla retorica dei “salvatori” in politica. Condivido alcune battaglie con Di Battista, come quelle a tutela delle pmi, altre meno, specie in politica estera. È normale che sia così. Mi auguro che possa dare una mano a valorizzare la qualità dei nostri iscritti, ma resto dell’idea che non è il singolo nome che può far uscire il Movimento dallo stallo.

Nel frattempo lei lavora al Copasir, e va d’amore e d’accordo con Pd, Lega, Fi, Fdi.

È un comitato al di sopra degli schieramenti politici. Per usare una metafora calcistica, al Copasir si indossa la maglietta della Nazionale, non si gioca il campionato.

Avete avviato un nuovo ciclo di audizioni. Dove arriverete?

L’obiettivo è mappare i rischi e segnalare soluzioni legislative per prevenirli o eliminarli laddove necessario. Il 40% degli investimenti esteri in Italia è nel settore finanziario, la media europea si attesta intorno al 20%. I numeri segnalano una sovraesposizione, e impongono una riflessione sull’infrastruttura finanziaria, che potrebbe presto essere inserita tra i settori strategici.

Questo giovedì avete ascoltato la Consob. Poi?

Siamo partiti dalle autorità, la prossima settimana dovremmo sentire Bankitalia. Poi passeremo alle banche sistemiche, come Unicredit, Generali, Intesa San Paolo. La priorità sarà data alle banche che detengono la maggior quantità di titoli di Stato.

Ci sarà spazio per parlare dell’accordo Intesa-Ubi?

Assolutamente no, è un’operazione di mercato, peraltro fra due banche italiane. Non entra nella valutazione strategica del Paese avviata dal comitato.

Zennaro, non è che volete fare le pulci ai manager stranieri alla guida dei principali istituti italiani?

Non è così. È un ciclo di audizioni sul sistema Italia, non possiamo né vogliamo valutare le singole scelte dei manager, sarebbe un danno d’immagine per l’Italia.

Dopo le banche?

C’è il settore della Difesa. Anche qui, deve essere valutato il rischio di possibili scalate estere per alcuni player italiani, alcuni dei quali quotati in borsa. Il tema della dipendenza estera è particolarmente rilevante per la fornitura di equipaggiamento, non tanto di armamenti quanto della componentistica.

Prima di questo ciclo di audizioni, avete concluso un’indagine conoscitiva sul 5G. Responso: il governo dovrebbe escludere Huawei. Perché proprio le aziende cinesi?

Siamo partiti da elementi fattuali, come la legislazione cinese sull’intelligence. Ci sono leggi anche cantonali che obbligano le società, partecipate e non, a fornire informazioni contabili e gestionali. In Europa e negli Stati Uniti non esistono condizioni simili.

Il governo vi ha ascoltato o no?

È in corso un lavoro della presidenza del Consiglio, soprattutto sul potenziamento dei Cvcn (Centri di valutazione e certificazione nazionale, ndr). I margini per un intervento dell’esecutivo ci sono.

Non è strano che un deputato del M5S, che in questi mesi si è molto avvicinato alla Cina, firmi un rapporto così duro con l’ex Celeste Impero?

Siamo ben tre parlamentari del Movimento nel comitato. Questa vicinanza alla Cina è stata ampliata a dismisura dalla narrazione mediatica. Il governo ha giustamente cercato di ridurre il gap di export che Roma sconta a fronte di Pechino. Giusto, come è opportuno collaborare con il mondo industriale e imprenditoriale cinese, purché sia garantito il rispetto di rigorosi standard etici.

Insomma, ben vengano i buoni rapporti, ma con le giuste precauzioni.

Il tema centrale non è il rapporto fra Italia e Cina, ma il rapporto fra Europa e Cina alla luce della globalizzazione. Da quando è entrata nel Wto questo Paese ha aumentato considerevolmente il suo potere economico, decuplicato il mercato inondando Europa e Stati Uniti di merci a basso costo. Così facendo ha distrutto interi settori produttivi, in Italia penso al tessile ma anche a tante altre realtà imprenditoriali, soprattutto nel Nord-Est.

Ora i rapporti del governo con Pechino non sono idilliaci. Molti osservatori hanno definito un grave errore bloccare i voli in entrata e uscita per l’emergenza coronavirus.

Al contrario, credo che il governo abbia fatto benissimo. Ha dettato la linea in Europa, e messo avanti la sicurezza dei cittadini. Lo stesso non si può dire del governo cinese, che ha sottovalutato l’emergenza sanitaria, e mostrato scarsa collaborazione nella gestione internazionale dell’epidemia.

Ci fa un esempio?

Gli ospedali hanno collassato di fronte allo stress sanitario, che ha messo a nudo l’insufficienza delle infrastrutture cinesi e altre criticità del governo, come il tasso di emissioni, che è diminuito solo con il blocco del sistema produttivo dovuto al virus.

Quale sarebbe la lezione?

Si sente spesso dire che le democrazie occidentali sono meno competitive rispetto al modello dirigista dei regimi totalitari. Questa emergenza sta confermando il contrario, la Cina è un gigante dai piedi d’argilla.

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