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Aiuti da Russia e Cina? Occhio a cosa c’è dietro. Parla il prof. Parsi

Russia e Cina sanno di mandare aiuti all’Italia in un momento in cui i recettori dell’opinione pubblica sono particolarmente attivi. La loro narrativa ha trovato nel nostro Paese terreno fertile, anche per gli errori di postura internazionale degli ultimi due anni. Attenzione però, perché la pandemia non ferma la competizione globale. È quanto emerge dalle parole del professor Vittorio Emanuele Parsi, docente di Relazioni internazionali all’Università Cattolica di Milano, che con Formiche.net ha spiegato cosa si cela dietro gli aiuti che da più parti stanno giungendo nel nostro Paese.

Professore, dopo la Cina è stata la volta della Russia, con i primi voli militari atterrati in Italia. Come li legge?

Al di là del fatto che chiunque mandi aiuti in questo momento sa di fare cosa gradita, contemporaneamente sa di farlo in un momento in cui i recettori dell’opinione pubblica sono particolarmente attivi. Sa che il gesto di generosità, rispetto ad altri contesti, avrà un impatto maggiore. La Russia si è mossa in tal senso nel vuoto lasciato soprattutto dagli Stati Uniti che, nelle fasi iniziali, hanno mostrato a livello governativo poca attenzione nei confronti di alleati e amici coinvolti, con un atteggiamento talvolta di eccessivo confronto con la Cina, anche quando era nel pieno del caso. In questo vuoto si muovono russi e cinesi.

E l’Europa?

L’Europa resta sullo sfondo. Fatica a prendere decisioni rapide e convergenti. E, anche quando lo fa, ci mette del tempo ad attuarle, comunicando in modo piuttosto maldestro. Ciò riguarda sia l’Unione europea, con l’unica eccezione della presidente della Commissione che mi sembra si stia muovendo molto bene, sia singoli Paesi, attenti a parlare per lo più all’interno.

Gli aiuti russi arrivano dal ministero della Difesa, senza specifiche sul numero di militari che compongono le otto squadre ma con grande attenzione mediatica (ci sono sette news sul sito ufficiale). Che messaggio è?

Il governo russo vuol far vedere all’interno che, nel caso in cui il problema del contagio si diffondesse nel Paese, la gestione sarebbe nella Difesa. Quel tipo di strumenti sono nella mani di tale dicastero. Non conosco la struttura della protezione civile russa, ma ricordo che anche in Italia, fino a quando non venne istituita la Protezione civile, erano i militari a gestire le situazioni di crisi, come per il terremoto dell’Irpinia o in Friuli.

Dietro gli aiuti internazionali da Russia e Cina ci sono anche narrazioni del mondo, mentre la pandemia non pare aver arrestato la competizione globale. Hanno trovato in Italia terreno fertile?

In parte sì, per due motivi. Prima di tutto, perché la gestione dell’emergenza è stata da subito all’insegna della crescente drammaticità. Dall’inizio, c’era la sensazione che si sarebbe arrivati a un punto di non ritorno di fronte a un’onda di piena. Ciò anche per mettere in secondo ordine precedenti errori di pianificazione e di scelte politiche, come il disinvestimento nella sanità pubblica, l’ammaloramento delle strutture pubbliche o l’assurda politica di restrizione degli ingressi nella facoltà di medicina per mantenere contenuto il numero di medici così da assicurare loro un buon reddito (non c’è altra spiegazione).

E il secondo motivo?

Il secondo motivo è extra-virus. Non si può non constatare che negli ultimi anni (con il Conte 2, ma anche 1, e in parte con i governi precedenti) maggioranze inedite abbiano mostrato atteggiamenti di fin troppa amicizia nei confronti della Russia. Si continua a indagare sui rapporti tra la Lega e l’establishment russo, per cui le cose non sono del tutto chiarite. Tanto la Lega quanto il M5S (già Gentiloni prima di loro) si sono mostrati aperturisti verso la Cina, una postura che ha teso a sottovalutarla e a ritenerla non pericolosa per le componenti relative alla sicurezza nazionale. Ciò si è associato a un rapporto con gli Usa di Trump complessivamente difficile anche per noi.

Ci spieghi meglio.

I tentativi di accreditarsi a Washington da parte della nuova politica (da Conte a Salvini, fino a Meloni) hanno avuto risultati in qualche caso incerti, per usare un eufemismo. C’è stato uno sforzo per capire l’applicazione in un contesto politico cangiante da parte di forze che non avevano mai espresso significative posizioni di politica internazionale se non delle accuse pretestuose verso l’Unione europea o i suoi Paesi maggiori. Con questo livello di background, anche culturale, non mi stupisco che ora siamo divenuti terreno fertile per le narrazioni di Russia e Cina. Molto sta facendo comunque l’assenza di leadership americana.

Però non sono mancati i messaggi dagli Usa, e neanche gli aiuti, tra cui un intero ospedale da campo e, ieri, un’unità mobile di stabilizzazione della Us Air Force dalla base di Ramstein, in Germania. 

È vero, ma l’ospedale è arrivato da un’Ong, e anche l’aereo da Ramstein pare poca cosa rispetto a quello che ci si poteva attendere da un Paese che è stato per lungo tempo lontano dal contagio. In altri contesti, il governo americano si era fatto più presente, come accadde per il terremoto nel Friuli. Sarebbe bastato un gesto dai contingenti Usa presenti a Vicenza o a Camp Darby, in Toscana, come mettere a disposizione qualche medico. Avrebbe avuto un effetto maggiore. Ricordiamoci che sull’Ebola gli Stati Uniti avevano assunto la leadership globale nella lotta alla malattia.

E la Cina? Pechino è passata (con una buona dose di disinformazione) dall’essere origine del contagio a salvatore contro il virus.

È così. Viviamo d’altra parte in un periodo contraddistinto da due flussi di tempo. Uno è veloce ed estemporaneo; influenza l’opinione pubblica sul breve; è mutevole e cangiante. Siamo passati in poche settimane dal maledire i cinesi (si ricorderanno la sassaiola contro un pullman a Prato, la questione dei bimbi cinesi nelle scuole e le cronache di insulti per strada) a urlate “santa Cina”. Ciò dà l’idea di quanto, se vengono meno i punti di riferimento stabili, tutto diventa schiuma di un’onda che sale e scende. Tre mesi fa la Cina sembrava il Paese meno affidabile a livello sanitario; oggi pare il massimo dell’affidabilità.

E il secondo flusso di tempo?

È più lungo, costruisce e decostruisce la realtà e le relazioni. Nel lungo periodo siamo, purtroppo, tutti connessi. E allora, l’opinione pubblica si renderà conto che dopo la crisi l’interdipendenza complessa resterà, seppur attenuata, nella sua parte più vulnerabile. Resteremo cioè vulnerabili gli uni agli altri, in termini di virus, migrazioni e cambiamento climatico. È il paradosso per cui, se la gestione dell’interdipendenza si ammalora e ognuno si rinchiude nel proprio cortiletto, ne usciamo tutti ancora più interdipendenti gli uni dagli altri, con il rischio di assomigliare all’Europa del 300 rispetto alla peste. Nel lungo periodo le cose non cambiano rapidamente come può cambiare l’opinione pubblica, ma cambiano. Che succederà a tutti i sistemi politici quando dovranno fronteggiare una botta economica come quella che ci aspetta in conseguenza delle scelte fatte per combattere il virus? Tutti i sistemi politici rischiano il crollo della legittimità.

Anche la Cina?

Sì. Avrà meno risorse per la Belt and road initiative perché dovrà far ripartire l’economia interna. Pechino non ha mai avuto tanto soft power come ora, ma potrebbe non disporre degli strumenti hard per consolidarlo. Pure all’interno, se non trova le risorse per far crescere quelle classi medie che hanno lavorato aspettando il loro turno per crescere. Così, anche l’autorità del Partito comunista cinese rischia di essere più complicata.

Pechino dispone comunque di strumenti di controllo per affermare tale autorità.

Sì, di strumenti di controllo spaventosi che qualcuno pensa di poter usare anche qui. Inoltre, non scordiamoci la lentezza cinese nel comunicare l’epidemia. È il frutto di un sistema politico lento a produrre early warning. Non c’è il cronista indipendente da Wuhan che racconta di una strana malattia che emerge, né ci sono le Formiche della situazione che realizzano un pezzo scomodo. C’è solo una linea strutturata. Finché non si arriva lì, tutti i punti al di sotto non possono dire nulla.

Vuole aggiungere qualcosa?

Mi lasci aggiungere che è il momento di mostrarsi coesi, sia all’interno, sia nel contesto internazionale. Successivamente, si parlerà di responsabilità politiche, di chi ha fatto bene o male, presto o tardi, e soprattutto di chi ha sciacallato continuamente. La situazione è oggettivamente molto complicata, inattesa e imprevedibile. Chi ora fa il fenomeno sulla polemica dovrebbe solo vergognarsi.

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