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Stato e banche (insieme) possono rilanciare l’economia. Parla Baretta

L’Europa, ancora una volta, a due velocità. Il Consiglio europeo odierno ha sancito ancora una volta la profonda spaccatura tra i Paesi del Nord e quelli più a Sud, come l’Italia, sostenitori di quegli eurobond che potrebbero salvare la zona euro dal baratro. Per fortuna l’Italia gioca le sue carte, nell’attesa che l’Europa torni a fare l’Europa: prima un decreto da 25 miliardi, il Cura Italia, poi un altro ad aprile, altri 25 miliardi. Non proprio bruscolini, anche se per il sottosegretario all’Economia, Pier Paolo Baretta, si può fare di più. Anzi, si deve. La parola d’ordine è osare.

Baretta, non è bastato il coronavirus a ricompattare un’Europa da troppi anni divisa. Come se lo spiega?

Partiamo dagli elementi positivi. C’è stato un cambio di atteggiamento nelle ultime settimane in Europa, verso soluzioni condivise e di ampio respiro, anche perché il virus ha avuto una portata europea e non solo italiana. Questo è un elemento a favore. E gli Stati che appoggiano la linea italiana sugli eurobond non sono pochi. In più Draghi, ieri, ha fatto capire che il coronavirus è un problema di tutti e non solo di pochi.

Bene, però sugli eurobond non si è trovata la quadra…

Ecco, da queste considerazioni appena fatte bisogna partire. La quadra va trovata sulla base di una coscienza che qui non si tratta di problemi locali, ma di emergenze comuni. Gli eurobond sono uno strumento importante, parte di un piano che va condiviso per uscire dalla crisi.

Ma di cosa hanno paura Germania e Olanda, quando si oppongono agli eurobond?

In certi Paesi non c’è ancora la percezione che lo scenario sulla finanza pubblica sia cambiato, certe regole superate. Qualcuno ha paura che un domani, facendo ora deficit, perda il controllo della situazione. Ma le cose sono cambiate, queste resistenze legate a un approccio tradizionale sono inutili ormai, perché la direzione di marcia intrapresa è un’altra ed è ormai inevitabile. I parametri europei sono cambiati, certi Paesi se ne dovrebbero rendere conto.

C’è in Europa un fattore Draghi?

L’intervento di ieri dell’ex governatore della Bce è stato utile e certamente non indifferente, perché ha dato una spinta a una presa di coscienza più ampia a livello europeo. Però al netto di tutto questo, quello che serve davvero è un salto di mentalità in Europa.

Baretta la Bce sembra aver agito, finalmente. In molti però hanno l’impressione che l’abbia fatto tardi. Lei che dice?

Discorso complicato. Il coronavirus ci ha preso tutti in contropiede, bisogna preoccuparsi di quello che si può fare, non di quello che poteva essere fatto. Da ora in poi non si può più essere incerti, quella sarebbe una colpa, perché adesso abbiamo chiara la situazione. Se si è stati incerti in passato, ormai non conta più.

Il governo ha approvato un decreto da 25 miliardi e annunciato un nuovo provvedimento di eguale portata. 50 miliardi non sono pochi per un Paese con questo debito. O no?

Non bastano, voglio essere sincero. Accanto all’intervento pubblico, da 50 miliardi, ci vuole una forte immissione di liquidità e per questo bisogna scuotere il sistema bancario, attraverso delle garanzie pubbliche che possano facilitare l’immissione di liquidità nelle famiglie e le imprese. Le due gambe del rilancio della nostra economia sono lo Stato ma anche le banche, che devono fare la loro parte, anche se sostenute da garanzie pubbliche.

Mi perdoni, ma le banche non potrebbero temere che prestando denaro a famiglie e imprese che non producono redditi a causa della pandemia, possano avere difficoltà nell’ottenere i rimborsi?

Anche qui c’è un problema di parametri cambiati, come nel caso europeo. Se crolla il sistema nazionale, perché non viene immessa liquidità, non si sarà più nessuno a cui prestare denaro. Oggi siamo dinnanzi a un rovescio della situazione, oggi essere prudenti è controproducente, e le banche lo devono capire. Questo è il momento di osare.


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