Nei momenti di crisi, fare squadra e parlarsi è fondamentale, anche a costo di perdere nottate a parlare intorno a un tavolo. In questi giorni di dramma sociale, sanitario ed economico è tornato alla ribalta un termine che rievoca momenti cruciali della nostra storia repubblicana: sciopero generale. I sindacati, ci sono andati vicini in queste ore, nell’ambito dello scontro titanico sulle attività essenziali da tenere aperte. E in Lombardia e Lazio, i metalmeccanici si sono fermati.
Il governo poteva fare di meglio, non arrivando per esempio a esasperare gli animi attraverso una comunicazione confusa e lacunosa. Di questo è più che convinto Giorgio Benvenuto, ex parlamentare, ex leader del Psi ma soprattutto numero uno storico della Uil, tra il 1976 e il 1992, gli anni del sindacalismo duro e puro, vecchio stampo insomma. Eppure certe regole valgono ora, come allora.
Benvenuto, in questi giorni è stato evocato lo sciopero generale. Non le sembra un gesto inopportuno in un momento come questo, dove la Nazione si gioca punti di Pil?
Lo sciopero si fa anche quando c’è da concludere una trattativa, non va visto per forza come un qualcosa di negativo. Credo che il governo abbia proceduto in modo pasticciato sulle attività da chiudere a causa del coronavirus. Dinnanzi a questa situazione credo sia mancato un vero coinvolgimento dei lavoratori e lo sciopero evocato e quelli odierni in atto sono il frutto proprio di questo: scarso coinvolgimento e scarsa attenzione alle regole nelle fabbriche, ma prima di tutto alle regole del dialogo.
Cioè le regole imposte all’esterno poi non sono state applicate dentro i siti produttivi?
Il punto è proprio questo, ma faccio una precisazione. Le regole che il governo ha chiesto di rispettare sui marciapiedi, per strada, nei supermercati, penso alla distanza, non hanno trovato applicazione dentro la fabbrica. Come si fa a chiedere di stare a distanza a chi sta per strada se poi dentro la fabbrica non c’è controllo su queste medesime regole? I sindacati sono stati costretti a minacciare lo sciopero generale, perché hanno percepito il rischio, concreto, di essere scavalcati dalla politica. Oltre a quello per la salute.
Lei ha parlato di scarso coinvolgimento dei lavoratori. Chiariamo il concetto?
Bisogna pensare a una comunicazione efficace in certe situazioni. In questi giorni abbiamo sentito di dirette Facebook, Twitter, ma le pare normale? Non è che i lavoratori vogliono andare a sciare, scusi, ma vogliono essere coinvolti dal governo. E allora se si deve arrivare a una soluzione condivisa, ben vengano una, due notti in bianco, purché ci si confronti faccia a faccia, senza fare dirette.
Il lavoratori temono, giustamente, per la loro salute. Però ci sono attività che non si possono fermare…
Ragionevole, certo. Ma così come è ragionevole pensare che l’Italia non possa fermarsi del tutto allora è altrettanto ragionevole tutelare la salute di questa gente e a chi lavora in queste condizioni.
Benvenuto lei ha attraversato 50 anni di storia economica e lavorativa del Paese. Le chiedo di essere sincero, ce la faremo?
Sì, ma a un patto. Come le dicevo prima, che si ripristini un canale di comunicazione con i corpi intermedi. Parti sociali in primis. E quando dico comunicazione non parlo di dirette web, ma di comunicare, appunto. Imprenditori, artigiani, lavoratori, devono trovare la vera unità. Facile mettere i tricolori al balcone, suonare la chitarra o mettere su il giradischi se poi non c’è l’unità, che favorisce il dialogo. Mi creda, i monologhi, come quelli cui abbiamo assistito, sono pericolosi. A volte spianano la strada alla dittatura se proprio debbo essere franco…
Una volta si chiamava concertazione. Lei se la ricorderà…
Esatto. Meglio perdere nottate piuttosto che fare monologhi. L’unità di imprese, politica e lavoratori è la chiave di tutto. Anche quella buona per uscire da questa situazione. Poi ci sarebbe un’altra cosa da fare.
La ascolto…
Facciamola finita con i provvedimenti che si rincorrono. Non serve fare dieci provvedimenti che si modificano in continuazione, anche essendo simili tra loro. Ricordiamoci che quello che conta è una rapida attuazione dei provvedimenti, questo può fare la differenza adesso. Vuole un esempio?
Perché no.
La Cassa integrazione. Il governo l’ha prevista per decreto. Bene, non ci sono i moduli per farla. E se ad aprile non parte, chi ce li mette i soldi per i lavoratori, per gli stipendi? Le imprese che non hanno liquidità? Per questo parlo di dialogo, non basta fare un decreto e poi chi si è visto si è visto.
Benvenuto la provoco un po’. L’Europa dinnanzi al coronavirus. Assente ingiustificata o semplice ritardataria?
Ritardataria? Assente? Lei è ottimista. Perché l’Europa avrà anche sospeso il patto di Stabilità, ma dubito fortemente che si arrivi a una politica comune. Guardi gli eurobond. Io ne sono un sostenitore, ma vede che ci sono ancora Paesi che frenano? Non basta dare l’aiutino sul deficit, servono investimenti e sviluppo, e gli eurobond sono la strada. Facile dire che siamo tutti italiani ma proviamo a dire che siamo tutti europei? Vedrà che non funziona. Per questo l’Europa verrà stritolata, dagli Usa e dalla Russia: è un po’ come un vaso di coccio in mezzo a due vasi di ferro.