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Così Bibi ha vinto il referendum su se stesso. Il voto in Israele spiegato da Meotti

Su sicurezza, politica estera e finanza nessuno meglio di “Bibi” Netanyahu aveva meglio da fare o promettere. L’economia cresce del 3,3% da molti anni: Israele è l’unico Paese che è riuscito a scansare la crisi del 2008. Per questa ragione il premier uscente ha vinto le terze elezioni in un solo anno.

Lo pensa Giulio Meotti, firma del Foglio, esperto di questioni mediorientali, autore di quattro libri su Israele, alcuni tradotti in più lingue, che in questa conversazione con Formiche.net analizza i punti cruciali del successo elettorale del Likud e del suo leader che ha superato Ben Gurion.

Netanyahu l’ha definita la più grande vittoria della sua vita: ne ha buoni motivi?

I numeri sono impressionanti, visto che il Likud ha fatto segnare la migliore prestazione di sempre, considerando che veniva da altri due cicli elettorali estenuanti in un anno appena e con un premier sotto inchiesta per corruzione. In pratica è stato un referendum su Netanyahu: l’elettorato israeliano si è chiaramente spostato dalla sua parte per consentire l’uscita da questo vicolo cielo. Circolava già anche la data per le nuove elezioni, le quarte, a settembre.

Quando Bibi parla di “evitare altre elezioni, è tempo di curare le fratture, è tempo di riconciliazione” lancia un messaggio agli altri partiti ma anche all’intero sistema?

E’stato un leader che, avendo superato Ben Gurion, è di fatto il più longevo nella storia di Israele. Come Trump o Berlusconi, sicuramente ha polarizzato completamente l’opinione pubblica: si è arrivati a un voto sulla sua persona e ha saputo dimostrare che non c’era alternativa a Netanyahu, né all’interno del suo partito né altrove.

Per quali motivi Gantz non ha sfondato?

Il generale aveva tutti i crismi per poter rivendicare un ruolo: è stato definito un Bibi light, una specie di Netanyahu più sfumato. Era infatti capo di stato maggiore e alla guida di una coalizione centrista (per cui la sinistra scompare in Israele). Nonostante ciò, questa figura non si è mostrata efficace agli occhi degli israeliani. Negli ultimi giorni si era parlato anche di una debolezza di Gantz. Non va dimenticato che Netanyahu è mercuriale, una leadership politica che dovrà essere studiata nella costruzione del consenso. Ma la verità è che Israele è in una condizione formidabile.

Contano i numeri…

L’economia cresce del 3,3% da molti anni: è l’unico Paese che è riuscito a scansare la crisi del 2008. Da questo punto di vista come si potrebbe fare meglio? E siccome gli israeliani sono un popolo pragmatico, hanno scelto ancora Bibi le cui riforme liberali nel 1997, quando era ministro delle Finanze, hanno spianato la strada ai risultati di oggi. Inoltre da un punto di vista diplomatico Israele non è mai stato così bene come oggi: sta riallacciando rapporti con Paesi come il Sudan che consentiranno così di attraversare l’oceano senza deviazioni dei voli; sta parlando con tutti i paesi arabi, compresa l’Arabia Saudita, impensabile solo 5 anni fa; sulla sicurezza interna, il terrorismo è al punto più basso nella storia recente, al netto della minaccia da Gaza dove Hamas ha costruito il suo Stato anti israeliano. Per cui su sicurezza, politica estera ed economia nessuno aveva di meglio da fare o promettere.

Il piano di Trump per il Medio oriente ha giocato un ruolo?

Trump ha fornito buoni assist a Netanyahu: nell’ultimo anno ha riconosciuto Gerusalemme come capitale di Israele, la sovranità israeliana sul Golan (mai fatta prima da un’amministrazione Usa) e dato un contributo straordinario al riconoscimento della presenza israeliana oltre la linea verde del ’67. Fino alla presidenza Obama era un tabù rimettere in gioco questo quadro: Trump lo ha fatto con un piano di pace che io non credo potrà avere successo, perché i palestinesi sono ancora arroccati.

Il fatto che il premier uscente si trovi nel bel mezzo di un caso giudiziario non ha influito sull’elettorato: è un segno di maturità, anche guardando ad altre realtà molto più inclini al sensazionalismo e alla gogna mediatica?

Sì. L’inchiesta non ha spostato il voto, nel senso che chi era convinto che Bibi non fosse adatto a guidare il Paese è rimasto sulla sua posizione, mentre chi era legato alla sua visione israeliana non è stato spaventato dall’inchiesta. Quindi il giudice e il procuratore generale non sono riusciti ad avere un’influenza diretta. Non so come Bibi procederà, forse con un “lodo Schifani” applicato ad Israele, visto che da premier ora dovrà difendersi in tribunale. Ci sono molte opzioni sul tavolo.

twitter@FDepalo

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