Qualcosa continua a non tornare sui numeri che la Cina ha diffuso e diffonde sulle vittime causate dall’epidemia di coronavirus SarsCoV2. Dubbi su un’attività di oscurantismo di Pechino, che ha già cercato di minimizzarne la diffusione pur essendo partita proprio dalla Cina la pandemia globale, a causa dell’alta trasmissibilità del nuovo virus. Ora il Partito comunista cinese potrebbe diffondere valori alterati della situazione attuale per spingere il messaggio di prontezza. Elemento strategico fondamentale nel dopoguerra al virus: il primo a ripartire avrà un vantaggio. Il primo a risolvere la crisi ha la forza di vendersi al mondo come risolutore, in grado di fornire conoscenze e assistenza. Un metodo per spingere la potenza globale che il segretario del Partito Xi Jinping progetta per il suo Paese – vedere l’offerta di cooperazione agli Stati Uniti, dopo settimane di acceso scontro retorico.
Ieri sono circolate sui social network immagini di code lunghissimi davanti ai Funeral Parlour (sale dei funerali) di Hankow, un quartiere di Wuhan, il centro dell’epidemia: centinaia, probabilmente migliaia, di persone che una dietro l’altra aspettavano di ritirare le urne contenenti le ceneri dei propri cari uccisi dal virus. Il governo cinese aveva subito deciso di cremare i morti, senza fornire troppe informazioni sulle cause del decesso e senza alcuna cerimonia funebre. Ora i cittadini chiedono qualcosa da piangere in preparazione alla festa del Qingming, il 4 aprile prossimo, quando si onorano le tombe dei defunti – sebbene fino al 30 aprile resterà in piedi l’ordinanza che vieta di recarsi nei cimiteri.
I dubbi sono chiari: ci sono moltissime persone in coda, e 3289 morti dichiarati ufficialmente dalla Cina. La gente ha dovuto aspettare ore prima di riprendere le urne, mentre i poliziotti gestivano l’ordine pubblico – tra l’altro controllando che nessun scattasse fotografie. Forse perché le code rischiavano di essere una prova compromettente sulla realtà della situazione cinese? Un’altra sala per funerali a Wuchang (un altro quartiere di Wuhan) ha annunciato che i familiari possono andare a ritirare le urne con le ceneri dal 23 marzo: soltanto quel Funeral Parlour prevede di distribuirne 500 al giorno, fino al Qingming, ossia significa che in totale saranno restituite circa 6500 urne per tutto questo periodo. Molte di più dei morti dichiarati.
Un mese fa, il giornalista Li Zehua – un ex presentatore televisivo della CCTV che si era licenziato in contrasto alle politiche restrittive imposte dal Partito sul racconto della crisi – s’era recato a Wuhan proprio per indagare sulle vittime. Ed era partito proprio dal cercare notizie tra i crematori, dove erano stati richiesti turni extra ai lavoratori e nuove assunzioni. Lavoravano oltre 19 ore al giorno, i dipendenti erano costretti a vivere all’interno delle ditte. Evidentemente c’era una richiesta enorme. Li Zehua, dopo aver postato una storia sui social network e aver mandato alcuni video su YouTube è stato inseguito dagli uomini dei servizi e poi arrestato: ancora non si hanno notizie di lui.
Mentre la polizia di Internet ripulisce la rete da commenti critici, anche ironici, nei confronti della situazione – e chiede conto direttamente a chi li pubblica – la questione delle urne alimenta ulteriori dubbi sulla volontà cinese di mentire per ripartire in fretta. Pochi giorni fa, su queste colonne Gabriele Carrer si era occupato di sottolineare come nel giro di tre mesi in Cina siano sparite 21 milioni utenze telefoniche, “e visto che in Cina il cellulare serve perfino per la pensione, aumentano i dubbi sulle cifre del regime“.