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Trasparenza e comunicazione istituzionale. Cosa hanno sbagliato Cina e Italia sul coronavirus

Stamani ho letto una inquietante ricostruzione sul coronavirus sulla rivista on line Il Sussidiario. All’insaputa del mondo la Cina ha (o avrebbe) “traccheggiato” circa due mesi (più o meno dal 20 novembre 2019 al 20 gennaio 2019) prima di adottare le drastiche misure di quarantena, blocco dei trasporti, chiusura delle scuole, divieto di accesso ai plessi residenziali adottate e rese pubbliche dal regime il 23 gennaio 2020.

Per la verità – ora lo sappiamo – l’epidemia era stata riservatamente comunicata all’Organizzazione Mondiale della Sanità già il 31 dicembre 2019. In una emergenza sanitaria da malattie infettive a rapido contagio, 60 giorni di inazione e silenzio sono inaccettabili, e il ritardo è particolarmente grave nelle società digitali in cui oggi stiamo vivendo.

La realtà contemporanea presenta almeno tre proprietà caratteristiche (ipervelocità, iperconnettività e ipermemoria) che avrebbero consentito di agire in modi più rapidi e trasparenti in un grande Paese che ha avuto straordinari successi economici dal 1979 ad oggi. La Cina ha per altro deciso di fondare la propria visione strategica di medio e lungo termine sulla sfida tecnologica con gli Stati Uniti e con altri Paesi (si pensi solo per fare un esempio alla comunicazione quantistica).

Come si spiega allora un ritardo di due mesi sopratutto dopo la brutta esperienza della SARS nel 2002/2003? In quel caso furono fornite cifre falsate sui contagiati e solo per la deontologia di alcuni medici civili e militari eticamente responsabili fu possibile far conoscere l’epidemia e la sua gravità. 17 anni fa il primo ritardo fu di quasi tre mesi (fine novembre 2002-febbraio 2003), ma solo agli inizi di aprile ci fu un’informazione completa. Nel frattempo il virus si era diffuso in 26 paesi del mondo.

Non è il momento di far polemiche, la solidarietà concreta alla Cina e al popolo cinese deve essere un must per l’Europa, così come devono proseguire il dialogo culturale e politico. Ma da qui a indicare la Cina come modello ottimale (rispetto a quanto si sta facendo in Italia) per far fronte al coronavirus ce ne corre. Lo voglio dire in particolare agli amici Luca Telese e Fabio Picchi dopo averli ascoltati ieri sera a Piazza Pulita da Corrado Formigli su La7.

Non è vero: più trasparenza e sopratutto più velocità di risposta avrebbero ridotto l’impatto mondiale del coronavirus. La verità è che la libertà di stampa, il pluralismo, le voci critiche e lo Stato di Diritto sono risorse preziose anche nelle emergenze più gravi. Ma il contagio della paura è il più difficile da mitigare ed è su questo piano (la Comunicazione Istituzionale) che l’Italia ha sbagliato.

Con il Movimento 5 Stelle al governo – nel Conte 1 ieri e nel Conte 2 oggi – la figura (e la stessa formula politicamente ambivalente) del portavoce (la rete di Rocco Casalino) ha interferito troppo sulla attività governativa e parlamentare. In un momento di crisi che richiede nervi saldi, pazienza e coesione nazionale non sarebbe male se i portavoce facessero un passo indietro (o almeno un passo di lato) e si tornasse alla normalità degli uffici stampa.

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