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Emergenza e fughe di notizie. Cosa (non) va nella comunicazione del governo

La voce, circolata nella serata di ieri, che sarebbero state poste ulteriori restrizioni agli orari dei supermercati nel corso delle ore successive, ha prodotto effetti sociali molto concreti nella data odierna: file molto più lunghe di fronte ai supermercati e il consueto effetto della mega-spesa antipanico hanno certificato la paura degli italiani di nuove misure da parte del governo.

Misure che, nelle ore successive, non sono state ancora prese dal governo. Questa circostanza ci pone di fronte ad una contraddizione comunicativa tutta propria dell’esecutivo Conte: quando viene svolta la comunicazione istituzionale, centrata sulla figura del presidente del Consiglio, gli effetti positivi vengono recepiti da parte dell’opinione pubblica (basti leggere i commenti social ai discorsi fatti da Conte in diretta tv e in live streaming sui social); quando viene presentata comunicazione di crisi, le circostanze sembrano funzionare meno bene. Decidere cosa si farà, comunicare quanto si è deciso, e fare quanto si è comunicato è sempre di più la serie di principi da seguire nel complesso rapporto tra politica e comunicazione.

La questione non è di poco conto: quando si invoca l’unità dei cittadini italiani verso uno scopo comune, che richiede una somma di sacrifici individuali che, in passato, come popolo non siamo stati abituati a sopportare, sembra opportuno fornire con la massima chiarezza anche tutte le indicazioni operative di contesto che rendano possibile il compimento di comportamenti corretti. Il verbo “trapelare”, la circostanza che l’indiscrezione giunga da ambienti governativi, l’anticipazione mediatica senza un immediato riscontro politico e normativo sono tutti comportamenti che non devono far parte del repertorio di comunicazione e azione dell’esecutivo in questi giorni difficili. Si tratta di usi e pratiche della comunicazione politica molto frequenti nel sistema italiano, un retaggio culturale forte della nostra politica dei tempi che precedono il 5 marzo 2020.

Si comprende come il leak fatto circolare per vedere l’effetto che produce sia una delle più consolidate pratiche comunicative e politiche del prima Covid19; tuttavia, appare altrettanto evidente, come questo retaggio da terza repubblica sia controproducente nelle circostanze eccezionali in cui viviamo, in cui servono annunci certi, corroborati da regole definite, comunicate nel modo più chiaro e condivisibile.

Alla comunicazione dell’esecutivo basterebbe adottare, nella prassi straordinaria di questi giorni, le principali regole della comunicazione di crisi delle imprese. Fornire con trasparenza informazioni chiare su procedure definite, coordinare il flusso di comunicazione interna – in questo caso all’esecutivo – con la comunicazione esterna (imprese, cittadini), dedicarsi ad un ascolto proattivo di tutti gli stakeholder di riferimento, ma prendere delle decisioni sulla base del proprio mandato sono gli assiomi che aiuterebbero molto ad evitare situazioni di incertezza collettiva che possono produrre panico sociale. Solo con una coerenza assoluta tra quanto si decide e quanto si comunica si può giungere a costruire quel clima di fiducia e coesione che è sempre più necessario per uscire dall’emergenza.


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