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Così Biogen ha donato 10 milioni (e non solo) ai Paesi colpiti. Parla l’ad Banfi

La drammatica situazione che sta vivendo l’Italia ha generato una risposta immediata da parte di tantissime aziende americane che hanno deciso di dare il loro supporto al nostro Paese. Fra queste, di particolare rilievo sono le attività messe in campo dalle case farmaceutiche, che conoscendo da vicino i pericoli di un virus come il Covid-19 e immaginando la difficoltà per un sistema sanitario di far fronte a una situazione del tutto inaspettata, hanno messo a disposizione risorse e competenze per aiutare il nostro Paese. Fra i progetti più importanti vi è sicuramente quello di Biogen, azienda specializzata nel trattamento della malattie neurologiche e nota nel settore per le molteplici attività a carattere solidale intraprese già negli anni passati. “Abbiamo da sempre un forte senso di responsabilità sociale – ha confermato l’amministratore delegato di Biogen Italia Giuseppe Banfi a Formiche.net – e questo e ci riempie il cuore di gioia e di orgoglio”.

La Fondazione Biogen ha deciso di donare 10 milioni di dollari a supporto delle comunità colpite dalla pandemia di Covid-19, fra cui l’Italia. Come e perché nasce quest’iniziativa?

Abbiamo un forte senso di responsabilità sociale, da sempre. È accaduto anche in passate occasioni, come alla maratona di Boston quando in seguito all’attentato siamo riusciti a donare un grandissimo quantitativo di risorse per le persone colpite. È qualcosa che fa geneticamente parte della nostra organizzazione e così, anche questa volta, abbiamo cercato di fare tutto ciò che era nelle nostre possibilità per aiutare le aree maggiormente colpite dall’emergenza Covid-19. Del resto, la Fondazione nasce proprio per questo e ci riempie il cuore di gioia e di orgoglio.

In questo momento di grande difficoltà per l’Italia abbiamo visto un grande supporto da parte delle aziende statunitensi, in particolare del settore farmaceutico che, come voi, hanno deciso di aiutare anche il nostro Paese, come ha sottolineato anche l’ambasciatore Lewis Eisenberg…

Vero, e con l’ambasciata in particolar modo sono tantissime le attività che noi, con il sostegno di Iapg, abbiamo realizzato prima della crisi e metteremo in campo in futuro. È bello vedere che l’ambasciatore tenga agli sforzi che stiamo facendo, perché vuol dire che servono e che stanno dando i loro frutti. Non dimentichiamo che tantissime aziende hanno convertito intere aree di ricerca per trovare un vaccino o un farmaco per colpire, arrestare o almeno diminuire la virulenza di questa brutta bestia che è il Covid-19. Il drammatico momento che stiamo vivendo, incredibilmente, ha portato anche qualcosa di buono, ha riavvicinato un popolo che sembrava disunito, ci ha in un certo senso riabituati ad apprezzare l’intimità familiare, ha sviluppato un’attenzione nei confronti di medici e operatori sanitari che stanno combattendo una vera e propria guerra.

Le vostre iniziative, infatti, non si limitano solo al supporto finanziario, ma anzi prevedono attività a tutto tondo. Fra le più importanti, quella che vi vede collaborare con la Dynamo Academy per aiutare i lavoratori in un momento di così grande complessità. Cosa prevede questa partnership?

Intanto ci tengo a spendere due parole su Dynamo Academy, ente mosso da intenti di grandissima umanità con cui collaboriamo da oltre quattro anni e che si occupa dei bambini e delle famiglie che in qualche modo non hanno avuto una vita troppo fortunata, impegnandoli in tutta una serie di attività di grande valore. Attività che ci fanno talvolta capire il vero valore delle cose e ci consente anche di renderci conto quanto le piccole cose che sul lavoro ci fanno arrabbiare, in realtà non hanno alcun valore perché la vita è fatta di cose molto più importanti. Con loro abbiamo attivo anche un programma di volontariato in cui i nostri dipendenti possono sfruttare giorni lavorativi per dare un supporto alle attività dell’associazione.

E ora, invece, nel pieno della crisi?

E ora fanno ancora di più. Abbiamo creato con loro tre momenti: smart play, smart training e smart cooking. Nel primo i volontari intrattengono i figli dei dipendenti, nel secondo, che occupa le prime ore del mattino o la tarda serata fanno lezioni di yoga, hip pop e fitness, nell’ultimo ci sono degli show cooking subito prima dell’ora di pranzo in cui ogni giorno si presenta una nuova ricetta da cucinare insieme in tempo reale.

È una cosa molto importante in questo momento in cui le persone si devono adattare a una realtà e a una quotidianità del tutto imprevista…

Assolutamente sì, ed è per questo che abbiamo deciso di dare un contributo di oltre mille dollari a tutti i nostri dipendenti, proprio per far fronte in maniera serena a una situazione che comporta anche spese del tutto non preventivabili. Siamo molto esigenti in Biogen, ma al contempo teniamo tantissimo ai nostri dipendenti e al loro benessere. Abbiamo avviato un percorso, Be positive, che incentiva proprio un ambiente di lavoro che sia sano e positivo. Del resto è innegabile ormai che un ambiente di lavoro piacevole e un personale felice non può che accrescere il valore dell’azienda. Ricordiamo che tutti i dipendenti che lavorano nella produzione e nella distribuzione non si sono fermati un attimo, garantendo a tutti i pazienti di continuare a ricevere le proprie cure.

E infatti sappiamo che Biogen ha deciso di dare sostegno anche alle associazioni di pazienti. Purtroppo in stato di emergenza si tende a dimenticare che ci sono tanti soggetti afflitti da malattie pregresse che vivono una condizione ancora più complessa di quella che viviamo noi.

Verissimo. Sono le nostre persone più fragili se vogliamo, e come tali vanno tutelate maggiormente. Noi siamo da sempre vicini alle associazioni, ma in questo momento hanno bisogno di maggiore supporto. Molte di loro, come ad esempio l’Aism (Associazione italiana sclerosi multipla), hanno dovuto rinunciare a tutta una serie di attività fondamentali per la raccolta fondi.

Nei giorni passati abbiamo assistito a un susseguirsi di fake news che hanno minato l’equilibrio del sistema-Paese e la corretta percezione del virus da parte dei cittadini. Cosa si può fare, secondo lei, in questo senso, e come si può ripristinare il primato della scienza e degli scienziati come unica fonte autorevole per temi come quello della sanità?

Da un lato i media “di valore” devono continuare a monitorare la situazione e a confermare o smentire le notizie che arrivano dalla Rete. Con l’emergenza Covid-19 sta venendo fuori di tutto ed è importante che venga fatta un’attività di questo genere, invitando i cittadini a fidarsi solo delle fonti ufficiali, come può essere il ministero della Salute, l’Aifa, la Protezione civile e tutti i soggetti riconosciuti come dotati di una certa credibilità scientifica. Al contempo ogni singola persona che entra in contatto con qualcuno che diffonde volontariamente fake news deve impegnarsi al massimo per arginarle.

Un’ultima domanda, un po’ fuori tema. Sappiamo che le neuroscienze, che è l’area a cui dedicate maggiore attenzione, è forse quella che ha maggiori esigenze mediche ancora insoddisfatte. Quali sono i passi avanti che avete fatto negli ultimi anni e quali quelli che contate di fare negli anni a venire?

La neuroscienza è dentro il nostro patrimonio genetico e, ad oggi, ci dedichiamo praticamente solo a questa area, che ha ancora un enorme bisogno di cura. Molti neurologi ma anche molti politici ritengono che le neuroscienze siano l’oncologia degli anni passati, dove grazie alla ricerca si sono fatti passi da gigante. Questa è la nostra missione. Così come in passato siamo riusciti prima a rallentare e poi a stoppare la sclerosi multipla, l’obiettivo di domani è quello di curarla. Non ci siamo ancora riusciti, ma ci stiamo impegnando con tutte le nostre forze per farlo. Lo stesso vale per l’atrofia muscolare spinale (Sma), dove abbiamo avuto la responsabilità ma anche il grande orgoglio di lanciare il primo farmaco efficace per questa malattia. Senza la terapia la speranza di vita di un bambino con la Sma non superava i due anni, oggi invece siamo riusciti a modificarla in modo radicale. Lo vediamo soprattutto nei fratelli dei giovani pazienti malati che – malati geneticamente anch’essi – se trattati prima dei primi sintomi raggiungono uno sviluppo motorio praticamente molto vicino a quello dei bambini sani. Altro versante su cui siamo concentrati è l’Alzheimer, dove abbiamo cinque farmaci in sviluppo clinico, di cui uno a ridosso della preparazione del dossier. Anche qui c’è grande attenzione, grande speranza, e altrettanta volontà di fare ancora la differenza per una malattia molto comune che coinvolge direttamente o indirettamente molti di noi e la cui terapia può portare davvero a un significativo miglioramento.


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