Una volta che la crisi sarà passata dovremo fare una sorta di debriefing istituzionale per mettere a fuoco i settori delle nostre istituzioni che più sono andati sotto stress. Qui ne voglio richiamare due:
– il rapporto tra competenza legittimata in via professionale e competenza legittimata democraticamente e
– l’assenza di processi e protocolli nelle nostre strutture pubbliche.
È evidente a tutti che certe decisioni devono essere prese da “chi ci capisce” e non da chi “rappresenta il popolo”. La crisi sta facendo emergere che in Italia abbiamo sopravvalutato la legittimazione democratica al punto che, quando ci si trova di fronte alla necessità di dare voce alla competenza, non esistono camere di compensazione istituzionali dove legittimazione democratica e legittimazione professionale possano armonizzarsi.
La crisi ha anche fatto emergere che da noi il lavoro per processi è sconosciuto. A questo proposito dobbiamo chiederci come mai ci troviamo in una situazione simile a quella cinese. Se le nostre strutture sanitarie avessero applicato i protocolli scaricabili dal sito della OMS è molto probabile che la diffusione del virus avrebbe seguito lo stesso andamento che ha altrove, sarebbe stata cioè più lenta.
Il fatto è che questi due temi – che richiederanno profonde analisi una volta che l’emergenza sarà superata – devono trovare una risposta, seppur rozza, immediatamente. Dobbiamo, cioè, imparare a cavalcare la tigre in corsa.
Da una parte il rispetto dei processi codificati negli standards della OMS aiuterebbe a controllare l’espandersi del virus. Dall’altra parte dobbiamo fare attenzione a non importare modelli di governance che non prevedono compensazioni istituzionali tra competenza e rule of law, sul tipo cinese. Non solo perché andrebbe a rischio il nostro Stato di Diritto ma perché è proprio quel modello che rende possibili certe crisi.
Qui mi permetto di fare riferimento ad alcune mie esperienze personali. Alcuni anni fa (6 o 7) mi è capitato più volte di essere coinvolto in progetti didattici e scientifici in Cina e, quindi, di recarmi in Cina (Xiamen nella provincia del Fujan 38 milioni di abitanti, Jinan nella provincia dello Shandong 90 milioni di abitanti e a Pechino). Sempre sono stato accolto in maniera oserei dire sibaritica e sono stato accompagnato a vedere i luoghi in cui mi trovavo. L’accompagnamento era così costante e gentile da risultare soffocante tanto che mi è venuta voglia di tentare di sfuggire all’accompagnamento stesso e di andarmene un po’ alla ricerca per conto mio. Mi è riuscito un paio di volte: a Pechino e a Jinan. In ambedue i casi mi sono rapidamente (cioè a poche decine di metri dal quartiere di stile occidentale dove ero stato condotto dalla mia gentilissima guida) trovato in un dedalo di viottoli circondati da capanne, viottoli coperti da escrementi.
Durante il periodo di questi miei rapporti con la Cina mi è venuto a trovare (o è stato mandato a trovarmi?) a Firenze il personaggio che mi aveva guidato a Xiamen. Mi sono sentito in dovere di mostrargli la Toscana. Non dimenticherò mai la sorpresa e la meraviglia estasiata di questo collega davanti alle pareti delle abitazioni di San Gimignano. Non dimentico le sue osservazioni e domande: “So you’ve always built your houses with bricks and stones and not with mud and paper? Le nostre case ancora oggi sono fatte di fango e carta (di giornale) e devono essere rifatte praticamente ogni anno. Così che possiamo ogni anno leggere sulle nostre pareti le notizie dell’anno in corso”. Alla mia domanda sulla destinazione degli escrementi ha glissato.
La Cina è un grande paese, con per lo meno un miliardo e mezzo di abitanti. In Cina ci sono indubbiamente centri di ricerca avanzatissimi e settori di produzione industriale all’avanguardia. Ma questi punti avanzati di eccellenza non rappresentano la società e le istituzioni cinesi. La maggior parte della popolazione vive in condizioni per noi inimmaginabili. In Cina non esiste l’anagrafe! Tutto questo deve farci capire che:
(i) i consigli che vengono dalla Cina non sono tarati su una società sviluppata e
(ii) che i dati forniti dalla Cina (quelli economici e quelli sanitari) non sono attendibili semplicemente perché i cinesi non hanno le strutture amministrative per raccoglierli.
A caval donato non si guarda in bocca. È un sano principio. Dobbiamo però non illuderci e fare attenzione a non prendere dalla Cina non solo i doni ma anche il modello cinese. Il modello cinese potrebbe risultare particolarmente appetibile in questo momento di disorientamento in cui la legittimazione professionale rischia di sconfinare in autoritarismo. Non sottovalutiamo il fatto che in tedesco il concetto di regalo e quello di veleno si esprimono con la stessa parola: Gift. Con il suo regalo il donatore influenza (avvelena) chi riceve il regalo.
La Cina sta riscuotendo anche un certo successo nel pubblico occidentale come possibile modello economico e sta alluvionando i nostri mercati con ondate di risorse finanziarie, risorse che ci possono sembrare un vero caval donato in questo momento di tragico tracollo delle borse. A parte il fatto che questa munificenza si realizza perché la Cina non rispetta le regole di mercato e confonde la banca nazionale con banche commerciali. Il fatto è che le risorse che la Cina riversa sui nostri mercati non sono il frutto di un modello di produzione particolarmente efficiente ed efficace. Tali ingenti risorse sono il risultato di uno sfruttamento brutale della popolazione cinese sfruttamento inconciliabile con i nostri valori occidentali. Può valer la pena di dare un’occhiata ai filmati raccolti più o meno di sotterfugio e presentati al Fraudefilmfestival in Olanda . Qui, più che la brutalità delle scene, ci deve far pensare la scarsa efficienza ed efficacia del modello cinese.
Il Covid-19 potrebbe farci un danno ben più grave di quelli sanitari se contribuisse ad aprire la porta al regalo/veleno del modello cinese. Siamo chiamati a saper resistere alle seduzioni dei cavalli donati in corsa senza esserci ancora dotati di anticorpi istituzionali adeguati.