In pochi giorni l’emergenza coronavirus ha stravolto l’esistenza di ognuno di noi. Tutti accomunati da un sentimento che ci accompagnerà per un po’ di tempo e che non conoscerà confini: l’incertezza. L’incertezza di fronte a ciò che siamo oggi, a ciò che saremo domani, a ciò che il mondo sarà, in un perenne stato di dubbio e precarietà.
Ricordo bene quando, per il mio primo esame all’università, studiai lo stato d’emergenza. “Non te lo chiederanno” mi dicevano le mie colleghe. Effettivamente era la parte più semplice da studiare ma più difficile da immaginare. Quello stato di emergenza, appunto, che tanti studenti universitari, nel corso del loro ciclo di studi, si sono ritrovati nei manuali di Diritto costituzionale e che con molta probabilità mai avrebbero pensato di dover vivere.
Eppure, in questi giorni di campagna #iorestoacasa e #andràtuttobene, in cui basta aprire i social network per rendersi conto di quanti milioni di italiani, nell’interesse comune, sono a casa, c’è una categoria di giovani donne e uomini a cui non smetto di pensare: sono i giovani fuori sede. Anche loro sono, responsabilmente, a casa. Ma, a pensarci bene, quella non è la loro casa. La loro dista ore e ore di viaggio. A loro che hanno pensato ai loro familiari, ai loro territori, ai sacrifici di tante famiglie di lavoratori, al loro Sud, alle difficoltà delle strutture sanitarie del Mezzogiorno.
Sono rimasti lì dove erano, in quel luogo, in quella città dove stanno costruendo da giovani studenti e lavoratori i loro sogni e il loro futuro. Adesso quei sogni, quel futuro, sono rinchiusi con loro in una stanza da fuori sede. Sono lì in questo tempo di quarantena che ci accomuna tutti, da nord a sud. Sono lì con coraggio, lo stesso coraggio che li ha spinti giovanissimi a studiare lontano, scegliendo una città che non era la loro, imparando a 19 anni a cucinare e stirare. E ce la faranno anche stavolta.
Sono lì con tutto quello che hanno imparato in questi anni. Sono lì con il loro bagaglio di speranze. Oggi in quel bagaglio c’è la speranza più grande: che tutto finisca quanto prima e nel migliore dei modi per il nostro Paese per poter presto fare ritorno a casa. E quel ritorno sarà per tutti il viaggio più bello di sempre.
E, in questo tempo di grande difficoltà per il nostro Paese, voglio ringraziare, a nome di tutti, anche quei giovani e quelle giovani donne volontarie della Croce Rossa Italiana, dell’Avis, giovani medici, infermieri, farmacisti e i tantissimi ragazzi che oggi sono chiamati a svolgere un ruolo importante per tutti noi.
A loro che rappresentano il vero coraggio italiano perché tutti i giorni da quando è iniziata questa vera e propria corsa contro il tempo, lottano quotidianamente con coraggio, senza paura, contro il coronavirus.
A loro va il nostro più sincero e sentito ringraziamento, ma anche l’affetto e la stima per lo straordinario impegno e lo spirito di abnegazione che li contraddistingue.
Tornerà quella vita per cui abbiamo lottato e sacrificato tanto. Fino a quel momento, come ha detto il ministro per le Politiche Giovanili, Vincenzo Spadafora, stiamo distanti ma uniti.