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L’Europa rischia di capitolare, ma non per un virus. La stoccata di Malgieri

Ci voleva una tragedia di proporzioni catastrofiche per dimostrare come l’Unione europea fosse una costruzione posticcia di tecnocrati che con spregiudicato interesse economico-finanziario hanno tradito una grande idea. L’emergenza sanitaria ha messo in luce il peggio dell’europeismo di facciata che come polvere in tanti anni si è cercato di nascondere sotto i tappeti di Bruxelles, Strasburgo, Francoforte. Ed ha rivelato che l’Europa come tale, vale a dire un soggetto tendenzialmente unitario, è impossibile da costruire se mancano le strutture culturali, morali, religiose, civili. Si possono scrivere dei bei documenti programmatici, ma sono destinati a diventare in poco tempo carta straccia se il progetto che sottendono non ha un’anima.

Circa cinquecento milioni di donne e di uomini (al netto dei britannici che restano formalmente europei, ma si sono auto-espulsi dall’Unione) avendo alle spalle origini, storie, tormenti, guerre contro nemici comuni, oltre che intestine, le quali, tuttavia, sono state il lievito di una comunità che ha saputo reagire alla fine del più grande impero della storia riconoscendo il sacro e l’autorità spirituale e temporale come fondamenti della civiltà, aprendosi all’evangelizzazione portata dai monaci in ogni angolo del continente e ritrovatasi attraverso riconciliazioni e imprese conquistatrici, che si sentono smarriti di fronte ad un alieno invisibile che è il più grande nemico che l’Europa abbia fino ad oggi conosciuto. Ne mette a repentaglio l’esistenza stessa. Uccide le sue memorie negando la vita ai vecchi. Pregiudica il suo futuro annientando i suoi giovani. Da chissà quali recessi della storia inconoscibile è venuto fuori il pipistrello sterminatore, se di pipistrello si tratta, quale origine del male che ci sta sommergendo.

Chiedendoci tutto questo e di fronte allo sgomento che l’impotenza provoca, ci saremmo aspettati una maggiore coesione dell’Europa, di quella vera, non delle sue decadenti istituzioni, e di conseguenza una reazione unitaria fondata sullo spirito di solidarietà. Ma ha prevalso non l’interesse delle nazioni, pur encomiabile in assoluto, bensì la grettezza morale dei governanti votati a difendere l’avere piuttosto che a tutelare l’essere di una entità sovranazionale, metafisica e mitica nelle sue origini, votata per millenni a costruire e a tener viva l’idea di umanità.

Niente da fare. Il coronavirus ha vinto la sua battaglia pur non avendo tra i suoi obiettivi la distruzione dell’Europa. E, per quanto ammaccati, ne godono altri “mondi” che disegneranno i confini di domani. Di fronte a miserabili borgognoni ed armagnacchi, che pur si qualificano come “europeisti”, che si litigano l’esistenza di cinquecento milioni di esseri umani sul tavolo unto da poker dell’Unione europea, non c’è altro da fare che chiudere bottega e riprendere, se la forza non manca dopo questa prova immane, lo Stato-nazione come sola entità riconoscibile, con tanta pena per chi – come chi scrive – ha sempre riconosciuto l’obiettivo dell’Europa-nazione quale comunità fondata su tradizioni, usi, costumi e perfino linguaggi comuni benché strutturalmente differenti (Giacomo Devoto, Georges Dumèzil, Jean Haudry, Carlo Curcio sono ancora disponibili ad impartire lezioni al riguardo).

Insomma, quella solidarietà che sentivamo scorrere nelle vene al tempo in cui popoli massacrati dai più grandi criminali della storia, di fronte ad esseri prigionieri di un enorme gulag diventato Superstato comunista, immaginavamo che il tempo della liberazione sarebbe venuto ed avrebbe aperto la grande disumana gabbia facendo entrare solidarietà ed umanità. Neppure per idea. La solidarietà è arrivata dall’Albania, con dignità ed eleganza, commozione e gratitudine per quel che l’Italia ha fatto in tempi anche recenti per essa.

I bottegai della Bce, guidata da una signora francese dallo scarso tatto politico, ha menato le danze dell’anti-europeismo negando a Paesi come l’Italia il “necessario”, salvo pasticciati passi indietro, mentre la presidente tedesca della Commissione europea ha speso parole vuote nella nostra lingua malamente storpiata, senza prendere nessuna posizione che portasse un qualche sollievo materiale alla nostra nazione. Ed i Paesi del Nord Europa, per antica vocazione vassalli della Germania, si sono adeguati alle ambizioni egoistiche della inossidabile Cancelliera, per quando in via d’uscita dalle stanze del potere delle quali ha tuttora le chiavi ben strette al petto, hanno rilanciato il loro rigorismo rendendo la vita difficile all’Italia, alla Francia (si ricreda Macron sui vecchi compagni di merende europee), alla Spagna, al Portogallo, alla Grecia.

Il contagio evidentemente non spaventa finnici e baltici, ma neppure sloveni che hanno chiuso le strade d’accesso dall’Italia al loro Paesino e austriaci che hanno fatto lo stesso (ah, l’Austria, amata anche quando ci massacravamo un secolo fa… il Paese dei molti popoli retto da un giovanotto la cui albagia è pari all’inadeguatezza politica nel coltivare rapporti amicali e di buon vicinato: un cascame della gaia Apocalisse?).

Eppure tutti dovranno farci i conti con il Covid-19. E l’Italia rinascerà. Con i suoi lividi. i suoi dolori, le sue lacrime. Con la certezza di riprendersi come ha sempre fatto. Con i debiti, non inferiori a quelli degli altri, ma con la consapevolezza che questa Europa è uno sconcio politico e morale dal quale è bene tenersi a debita distanza.

Ricostruire? E sia. Ma quale classe politica italiana ed europea può fare suo il sogno politico di chi non soltanto nel dopoguerra l’ha immaginata come unità di destino? Guglielmo Ferrero scriveva nel 1922: “L’Europa si salverà o perirà tutta intera”. Qualcuno glielo dica alle signore Christine Lagarde e Ursula von der Leyen. E magari, ricordi loro un passo splendido e tremendo di Gonzague de Reynold, pensatore svizzero, grande europeo: “L’Europa è una comparsa recente nella storia. Ha impiegato lunghi secoli per prepararsi, per formarsi. Per deformarsi e scomparire basta una catastrofe”.

No, non è il coronavirus la catastrofe inevitabile ed inattesa, ma l’inspiegabile tensione degli europeisti “a gettone” votati ad agevolare la distruzione, il suicidio dell’Europa.

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