Era il giugno del 2019 quando, da Taranto, arrivò un annuncio choc: Arcelor Mittal, affittuaria e potenziale proprietaria dell’acciaeria più grande d’Europa, sbatteva la porta per andarsene, in seguito a un altro annuncio, altrettanto devastante: l’eliminazione dal decreto Crescita dello scudo penale per i manager delle grandi aziende investitrici. Nove mesi di passione dopo, vissuti con l’incubo di perdere 15 mila posti di lavoro e fino all’1,4% del Pil, l’Ilva di Taranto è pronta a risorgere, ancora una volta (dall’Italsider ai Riva, la storia delle varie cadute del polo pugliese è lunga).
TARANTO, NOVE MESI DOPO
In uno studio legale di Milano è stata firmata nel tardo pomeriggio la pace tra Arcelor Mittal e i commissari governativi dell’Ilva in amministrazione straordinaria. Si è trovato così l’accordo che pone fine a mesi di guerra, scioperi e tensioni. Tre i pilastri dell’intesa: la modifica del contratto di affitto, l’acquisizione dei rami dell’ex azienda dei Riva e la cancellazione della causa civile a Milano. In più, si delinea un investimento significativo nella nuova Am InvestCo, la cordata con dentro Mittal, da parte di soggetti italiani a partecipazione statale (Cdp?), ponendo nei fatti le basi per una partnership tra Mittal e il governo. Che in questi mesi non ha mai spento del tutto l’ipotesi di una nazionalizzazione di Taranto in caso di mancato accordo con Mittal. L’investimento da parte di quest’ultimo, da sottoscrivere entro il 30 novembre 2020, sarà almeno pari al debito residuo di Am InvestCo relativo all’originario prezzo di acquisto dei rami d’azienda Ilva.
NUOVO PIANO INDUSTRIALE
Più nel dettaglio, l’accordo prevede un nuovo piano industriale con l’introduzione di tecnologie per la produzione di acciaio a basso utilizzo di carbonio e la costruzione di un impianto per la riduzione del minerale ferroso, che sarà finanziato e gestito da investitori terzi, e un altoforno ad arco elettrico che sarà costruito dalla stessa cordata franco-indiana. E, se l’investimento del governo per mezzo di un suo veicolo, non venisse sottoscritto entro il 30 novembre 2020, Am InvestCo avrebbe un diritto di recesso, subordinato al pagamento di un importo concordato. La chiusura del contratto di affitto e acquisto è infatti prevista per il maggio 2022.
I DUBBI DEI SINDACATI
Ma i lavoratori non sono convinti. Secondo i rappresentanti dei lavoratori “non è chiara la strategia del governo in merito al risanamento ambientale, alle prospettive industriali e occupazionali del gruppo”. Cgil, Cisl, Uil e le rispettive organizzazioni metalmeccaniche denunciano “una totale incognita sulla volontà dei soggetti investitori, a partire da ArcelorMittal, riguardo il loro impegno finanziario nella nuova compagine societaria che costituirà la nuova Am InvestCo. Nello specifico ci sembra di totale indeterminazione: il periodo di tempo senza una governance chiara, il ruolo delle banche e dell’investitore pubblico, il mix produttivo tra ciclo integrale e forni elettrici e il ruolo conseguente delle due società”.
GUALTIERI SORRIDE
Chi sorride è invece il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, che in serata ha espresso tutta la sua soddisfazione per l’accordo che “coniuga salute, ambiente e occupazione e ha come baricentro la tutela del benessere sociale ed economico della comunità di Taranto e la competitività e sostenibilità di un impianto cruciale per l’intero sistema industriale italiano”.
“Siamo soddisfatti – spiega il ministro – per un accordo che assicura da subito continuità operativa all’impianto e pone le basi per un progetto di politica industriale di grande respiro in grado di coniugare, grazie a importanti investimenti pubblici, il rispetto per la salute e per l’ambiente, la tutela dell’occupazione e la garanzia di concrete prospettive di competitività”.