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Il vaccino anti-coronavirus? Si sta lavorando in Italia. Ecco dove e come

“Un nuovo virus che si diffonde in tutto il mondo e contro il quale la maggioranza degli uomini non ha difese immunitarie”. Questa è la definizione del Covid-19 secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità. La pandemia è stata dichiarata. Intanto si lavora velocemente per trovare un vaccino contro un virus che ha raggiunto in breve tempo quasi tutta la superficie del globo. In fase avanzata gli studi in America, in Cina e in Israele. In Italia è alle porte di Roma, a Pomezia, che si gioca una partita importante. Qui lavorano 250 scienziati in laboratori distribuiti su una superficie di 22mila mq sugli 80mila complessivi dell’Irbm Science Park, Centro di eccellenza nel settore delle biotecnologie molecolari.

Si parte dalla considerazione che entro due mesi si potrebbe iniziare la sperimentazione sugli animali, e poi passare a quella sull’uomo. “Se la pandemia, dichiarata dall’Oms, diventa ancora più pericolosa, i termini canonici del vaccino saranno oggetto di una attenta riflessione da parte delle autorità che potrebbero anche decidere di annullare o modificare alcuni passaggi andando subito alla fase di produzione su vasta scala”. È quanto dichiarato dall’imprenditore Piero Di Lorenzo, presidente e amministratore delegato della Irbm, intervistato dall’avv. Alessia Amore per Formiche.net.

Presidente Di Lorenzo, purtroppo ma anche fortunatamente, perché è per garantire la sicurezza delle persone, la sperimentazione clinica ha delle fasi obbligate e di solito un farmaco o un vaccino per entrare in commercio ci impiega anche più di 10 anni. In condizioni di emergenza, invece, come è accaduto per l’ebola, le autorità sanitarie possono consentire che si passi ad una sperimentazione sull’uomo, a seguito di quella animale, in tempi più brevi coinvolgendo anche un numero maggiore di persone. Che tempi ci aspettano per avere il vaccino anti Covid-19? Siamo nella fase pre-clinica in vitro?

Attualmente siamo usciti dalla fase preclinica in vitro. Adesso stiamo purificando e caratterizzando l’Adenovirus che deve trasportare, all’interno dell’organismo umano, il gene della proteina spike sintetizzata e depotenziata dallo Jenner Institute della Oxford University. Pensiamo, quindi, che entro due mesi si possa partire con la sperimentazione animale con 1000 dosi del potenziale vaccino, per poi passare sull’uomo dopo un mese. Poi, però vige il principio del male minore. Se la pandemia, dichiarata tale dall’Oms, diventa ancora più pericolosa penso che questi termini canonici saranno oggetto di una attenta riflessione da parte delle Autorità regolatorie che potrebbero anche decidere di accorciare o addirittura annullare alcuni passaggi autorizzando subito la fase di produzione su vasta scala.

C’è una giusta percezione in Italia della ricerca scientifica?

In Italia, la ricerca scientifica non gode normalmente della considerazione che dovrebbe avere. Negli ultimi tempi, devo dire, però, che i governi hanno cominciato a considerare prioritario l’investimento nella ricerca e nell’innovazione. Ormai penso che almeno a livello di maitre à penser e di governanti si sia capita l’importanza di questo settore. Purtroppo ho la sensazione che non è ancora percepita da tutta la popolazione.

L’importanza della ricerca si riscopre tra l’opinione pubblica solo quando c’è una emergenza? Come fare a mantenere costante l’impegno nella ricerca?

Quello che diventa immediatamente eclatante e quasi inutile soffermarcisi è l’importanza della ricerca quando c’è una emergenza. In questi casi, allora tutti rivolgono lo sguardo agli Istituti di ricerca biologica, ed in generale agli Istituti che si danno da fare per trovare nuovi farmaci. A livello personale, poi, capita che ogni tanto arriva qualcuno che ha un caso in famiglia e che quindi scopre quanto davvero sia importante la ricerca scientifica. Al di fuori di questi interventi personalistici, nella società non se ne parla a sufficienza. Eppure in Italia abbiamo la fortuna di avere dei ricercatori bravissimi che andrebbero tutelati. I ricercatori italiani sono presenti in tutto il mondo nelle varie discipline e sono un’eccellenza. Se con le leggi e promozioni opportune cercassimo di farli rientrare, anche perché lo Stato ha pagato la loro formazione per poi regalarli all’estero, penso che si potrebbe ottenere risultati ancora più eclatanti. Voglio farle anche un esempio da manuale: la Regione Lazio nel 2016 ha finanziato un consorzio pubblico privato di cui fa parte l’Irbm per fare una ricerca sul virus “zika” dopo che si era verificato un caso di contagio ad Anzio. Una giornalista ha fatto dell’ironia malevola sul fatto che la Regione avesse finanziato una ricerca su un virus che era endemico nel lontano Brasile. La stessa cosa avrebbe potuto dire del Ccoronavirus che fino a poco fa era un problema della Cina e dell’Arabia saudita. Quindi perché occuparsi di un virus così lontano…buttando il danaro pubblico. Poi, però, quando l’epidemia arriva dentro casa il discorso cambia… Chissà se la giornalista in questione oggi ritiene sia stato inopportuno impegnarsi in studi sul virus Covid-19 quando ancora era confinato in Cina. La ricerca non si fa nell’emergenza. O si parte anni prima oppure, quando si manifesta il problema in maniera terribile come sta succedendo ora, le armi della scienza sono scariche.

L’Irbm è un Centro privato di eccellenza. Il lavoro che state svolgendo è grazie ad un suo lungimirante investimento. Come nasce questo Centro di ricerca privata altamente qualificato che, tra l’altro, è lo stesso laboratorio in cui nel 2014 è stato messo a punto il primo vaccino anti Ebola?

Irbm è l’acronimo di Istituto di Ricerca Biologico Molecolare. Il nome gli è stato dato dalla multinazionale farmaceutica Merck Sharp & Dohme che ne era la proprietaria fino al 2009. Nel 2009 abbiamo acquistato il Centro e abbiamo cercato di rilanciarlo sul mercato perché fino ad allora era un Centro di ricerca esclusivamente della Merck. Le apparecchiature e i ricercatori presenti lavoravano in esclusiva per la multinazionale. Decisi di fare questo investimento in un momento in cui la Merck aveva deciso la chiusura del Centro Irbm non perché non fosse un’eccellenza ma perché, a seguito della fusione con l’altra multinazionale del farmaco Schering Plough, la Casa madre americana aveva dato disposizioni di chiudere dei doppioni in termini di Centri di ricerca e di Siti di produzione. Uno dei Centri di ricerca che doveva essere chiuso insieme a quelli di Madrid e Tokyo era Roma. Quindi, questo Centro i cui ricercatori 10 mesi prima avevano scoperto la molecola dell’Isentress, l’ultimo farmaco per la cura dell’Aids ancora valido oggi, rischiava la chiusura con il conseguente esodo di 250 ricercatori in giro per il mondo. Dopo moltissime riunioni alla Regione ed in Confindustria l’accordo non si trovava. Così, a seguito della possibilità offertami da parte dell’allora Amministratore Delegato della Merck, di acquistare la proprietà del Centro, decisi di farlo, insieme alla mia famiglia. Penso sia stato un buon investimento sia per la mia famiglia che per i 250 ricercatori con le rispettive famiglie che adesso ruotano intorno al Centro.

Quanto è importante la collaborazione costante con gli Istituti di ricerca internazionali?

È basilare. La ricerca ad alto livello non si fa se non si è inseriti a pieno titolo in un network internazionale e se non si ha un costante dialogo con le grandi Università italiane e straniere e con le multinazionali farmaceutiche. La ricerca in genere è un lavoro integrato. Basta dire che un farmaco che arriva in farmacia mediamente è costato da 1 miliardo a 1 miliardo e 500 milioni di euro perché si deve far carico dei fallimenti sulle altre 99 ricerche che non hanno portato a nessun risultato. In questa logica la collaborazione per abbattere i costi, per avere informazioni, per rendere possibili delle sinergie è fondamentale. Non può esistere un Centro di ricerca che vive isolato. Nella economia moderna non è possibile, o comunque non potrà mai raggiungere livelli alti.

In Italia pesa molto la voce dei No-Vax che intralcia e mette sotto accusa un lavoro importante. Quanto pesa la disinformazione che spesso è alla base delle teorie anti vaccinismo?

Non vorrei esprimere giudizi sulle persone, sulle loro convinzioni. Faccio notare, però, che adesso in un momento di emergenza come quello che stiamo vivendo non ho sentito un No-Vax parlare. Mi piacerebbe infatti che adesso qualcuno esprimesse le sue convinzioni contro i vaccini. Aggiungo che i vaccini, a mio avviso, hanno salvato l’umanità. Alle elementari ancora ricordo di aver avuto due compagni di classe poliomielitici: uno strazio. Grazie ai vaccini non si sono più viste patologie terribili come quella.

Presidente, a che punto siamo secondo lei rispetto ai partner internazionali come modello di ricerca? Cosa ci differenzia, cosa manca e cosa abbiamo in più?

Dal punto di vista della scienza non abbiamo nulla in meno dei partner internazionali, sia per quanto riguarda i ricercatori che per gli Istituti di ricerca. Ovviamente per dirne una, questa ricerca che stiamo portando avanti per il vaccino anti Covid-19 la stiamo facendo in collaborazione con l’Istituto Jenner dell’Università di Oxford con fondi che vengono da un ente sovranazionale che si trova ad Oslo, il Cepi, il quale è finanziato a sua volta dal governo olandese, inglese, insomma non da quello italiano. È anche vero, però, che in Italia dopo tanti anni, con gli ultimi governi finalmente la ricerca scientifica sta avendo dei riconoscimenti e sta entrando nell’agenda politica. È chiaro che in una situazione economica critica come quella italiana qualunque cosa diventa sempre molto difficile. Comunque possiamo dire che c’è nell’aria del Paese una nuova sensibilità su ricerca e innovazione che fa ben sperare.

 

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