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Perché il Covid-19 è per Israele un’opportunità strategica

Il presidente israeliano, Reuven Rivlin, il primo ministro Benjamin Netanyahu e il leader di Blu e Bianco, Benny Gantz, hanno tenuto una riunione di emergenza domenica sera, appena dopo che Gantz ha ottenuto il sostegno di 61 membri della Knesset e dunque la possibilità di ricevere il mandato per formare il governo. Sebbene Gantz non sembri d’accordo, interessato a provare sin da oggi a fare un governo senza Bibi, secondo il Jerusalem Post, “è probabile” che i tre abbiano discusso della possibilità di formare un governo di unità a tempo limitato per gestire l’epidemia Covid-19. E l’ultima parola potrebbe non essere ancora detta.

Ogni sera Netanyahu appare in televisione e comunica la situazione: “È una guerra”, ha detto ultimamente. Un’espressione usata da molti in questi giorni. Per Israele è diventata il mantra nel contrasto all’epidemia. Sono poco più di trecento le persone contagiate, non c’è nessun morto, eppure scuole, università, bar e ristoranti sono stati chiusi, proibiti i raggruppamenti di più di 10 persone, 40 mila persone messe sotto quarantena. C’è di più: Israele sta affrontando la situazione con ottica strategica.

Da qualche settimana tutto il mondo guarda ai laboratori israeliani con massima attenzione, perché è da lì che – in tempi tecnici e scientifici, ossia non prima di fine anno – potrebbe arrivare il vaccino contro il nuovo coronavirus. L’arma strategica che vale più di qualsiasi bomba potrebbe uscire dai laboratori dell’istituto accademico Migal della Galilea – il più avanti nei test. Ma c’è anche l’Iibr (Israel Institute of Biologic Research), centro a sud di Tel Aviv iper-specializzato nella difesa da attacchi batteriologici, che ha fatto sapere di essere vicino a un vaccino.

Finora “Gerusalemme ha orchestrato una risposta coordinata, guidata dal governo, che ha riunito non solo l’apparato di sicurezza nazionale ma anche i politici nazionali”, ha scritto Daniel Samet per l’Atlantic Council. Israele diventa campione di resilienza, perché oltre all’essere in vantaggio nel cercare la soluzione al male globale, è anche un esempio sul come gestire la crisi. Lo stato ebraico sta dimostrando di saper riadattare il know how nella gestione delle emergenze su fronti diversi. Un paese la cui esistenza è costantemente minacciata, in cui le app sugli smartphone riescono ad avvisare i cittadini dell’arrivo di un razzo lanciato dai nemici, può riadattare sul fronte del coronavirus questa esperienze.

“L’idea del premier Netanyahu è di lavorare secondo sistemi di geolocalizzazione di massa, interpolazione dei dati, intelligenza artificiale e robotica”, spiega a Formiche.net Uberto Andreatta, senior advisor dello Studio Scala di Milano, specializzato in fondi sovrani. “Il virus ridisegna equilibri globali. Ci sono processi e armi strategiche e nuove, Israele è avanti sia dal punto di vista medico-commerciale, con lo sviluppo del vaccino, ma c’è anche questo aspetto che riguarda la possibilità di tracciare e controllare le masse che è enorme”. Sabato sera, Netanyahu ha in effetti parlato della possibilità di usare le potenzialità dello Shin Bet, l’intelligence interna, per individuare i contagiati da coronavirus, ricostruirne spostamenti e mappare il contagio. Qualcosa che nelle prossime settimane potrebbe anche essere allargato a tutta la popolazione dello stato ebraico.

Nitzan Horowitz, deputato di sinistra, usa la situazione come una delle tante per attaccare l’altra parte politica e Netanyahu: “Pedinare i cittadini con questi mezzi sofisticati è una violazione dei diritti civili. È per questa ragione che queste tecniche sono proibite nelle nazioni democratiche”. Ma la partita in ballo può segnare il futuro del paese. “Al di là delle implicazioni su libertà e diritti, la proposta di Netanyahu è decisiva: esce il genio dalla lampada, perché in futuro le tecnologie usate adesso per contenere l’epidemia potrebbero anche essere utili per altri generi di tracciamenti. Diventano una sorta di controllo sulle masse dal valore fortemente strategico”, aggiunge Andreatta.

Inquadrare la proposta legata alla necessità contingente con il contesto generale nel paese è utile anche per un secondo livello di ragionamento. Netanyahu infatti sta cercando di portare certe procedure sul piano politico, perché la sua  pluriennale esperienza al governo rappresenta un tentativo di primato della politica in un ambiente storicamente imbevuto di geopolitica e strategia, che non a caso ha un sistema istituzionale disegnato per non funzionare alla perfezione e cedere spazi agli apparati. In più, la partita con Gantz si gioca anche su questo piano: spariglia le carte perché i partiti arabi difficilmente accetteranno certe misure, dato che parti dei loro elettori potrebbero esserne i soggetti futuri.

La dimostrazione di capacità tecniche e gestionali però permetterebbe a Israele di uscire vincitore dalla crisi, sia in termini assoluti, che in un’ottica relativa riguardo alla stabilità regionale. L’accettazione della gravità della situazione in Iran, con la richiesta di aiuti all’Fmi, significa che Teheran – principale nemico di Gerusalemme – si mostra in tutta la sua debolezza, scopre completamente i propri limiti, cerca di sopravvivere e accetta una sorta di resa. In proiezione futura, quando Israele dovrà incassare gli effetti del successo collegato al vaccino e avrà sdoganato l’uso della geolocalizzazione, rafforzandosi ulteriormente, potrà giocare anche la carta geopolitica. Le mosse non saranno probabilmente tradotte in scatti militari, allargamenti geografici, ma legate al contenimento (con appoggio internazionale) del fronte di prima linea, dal Libano alla Siria, fino alla Palestina.


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