Tentativi di ritorno alla normalità in Cina. Dopo la riapertura, pur parziale, dello Shanghai Disney Resort a oltre un mese dalla chiusura, è stato il leader Xi Jinping in persona a lanciare un segnale. L’ha fatto visitando Wuhan, capoluogo della provincia cinese dell’Hubei, epicentro dell’epidemia del coronavirus. Si tratta della prima volta che il presidente cinese si reca nella città, a dimostrazione della volontà delle autorità cinesi di dimostrare di essere riuscite a tenere sotto controllo il contagio. Ma è anche un segnale alla popolazione: il “compagno Xi”, come lo chiamano i giornali del regime, era finito nel mirino dei social network cinesi per non aver ancora visitato l’epicentro del contagio.
L’agenzia ufficiale Xinhua racconta la visita nella capitale della provincia dell’Hubei, chiusa dal 23 gennaio: Xi è arrivato in aereo nell’Hubei, per “un’ispezione”. Incontri con operatori sanitari, funzionari militari e locali, agenti di polizia, pazienti e anche con gli abitanti della città. Ieri, prima cioè della visita del leader, le autorità cinesi avevano iniziato a rilasciare certificazioni di epidemic-free community.
PRONTI A CANTAR VITTORIA
I dati sembrano incoraggianti visto che il Paese ha registrato il record minimo di nuovi casi di coronavirus nelle ultime 24 ore, solo 19 da 40 il giorno precedente. Tra i nuovi casi, 17 riguardano proprio la città di Wuhan, mentre gli altri due contagiati sono una persone che ha viaggiato nel Regno Unito e l’altra in Spagna. Mentre scriviamo, il totale dei contagi nello Stato del Dragone è salito a 80.754 mentre il bilancio dei decessi è pari a 3.136.
La Cina sembra pronta così a dichiarare la vittoria sul coronavirus. Il Global Times, tabloid del Partito comunista cinese, ha scritto che “Xi ha personalmente condotto la guerra del popolo contro l’epidemia, fornendo indicazioni, scritte e orali, per il controllo e la prevenzione”. Così, dopo essere scomparso dai media e aver mandato a Wuhan il vicepremier Sun Chunlan e il premier Li Keqiang a prendersi i fischi e le grida della popolazione quando la situazione era più complessa, il presidente Xi è tornato nella città dell’Hubei riprendendosi anche le prime pagine dei giornali e le notizie d’apertura dei principali telegiornali. Stava lavorando dietro le quinte, spiega la propaganda.
Come scrive il New York Times, la Cina si sta impegnando per sovvertire la narrazione di questa crisi: passare dall’epicentro mondiale alla nazione che ha vinto la battaglia e insegnare alle altre come fare. Ci sta provando, sfruttando anche le incertezze statunitensi (come ha ben illustrato Quartz): e la prima vittima di questo disegno propagandistico potrebbe essere l’Italia.
QUEL CHE NON TORNA
Tre elementi però non tornano nella narrativa di Pechino. Il primo riguarda il modello Wuhan spesso lodato anche in Occidente. In particolare, i suoi metodi. Ciò che il “compagno Xi” non ha raccontato nella sua visita a Wuhan, per esempio, è che fine abbiano fatti i giornalisti Li Zehua, Fang Bin e Chen Qiushi, spariti dopo le loro indagini sull’epidemia.
Il secondo riguarda la cosiddetta vittoria sul coronavirus. I dati economici diffusi poche ore fa parlano chiaro: l’inflazione aumenta del 5,2% tendenziale, al livello più alto da almeno otto anni, e i prezzi al consumo crescono dello 0,8%. I prezzi alla produzione, invece, hanno mostrato un decremento tendenziale dello 0,4% dopo il +0,1% di gennaio, dato inferiore alle attese degli analisti. E non va trascurato il fatto che nella provincia di Hubei, di cui Wuhan è la capitale, circa 55 milioni di persone rimangono in quarantena, mentre in città come Pechino e Shanghai si continua ad applicare misure di autoquarantena per chiunque arrivi da fuori.
Il terzo e ultimo elemento riguarda le responsabilità di Pechino: basta scorrere Wuhanmemo.com per comprendere come i ritardi e i silenzi di quel regime che oggi prova a presentarsi come il vincitore della guerra al coronavirus rappresentino le ragioni dell’epidemia che potrebbe diventare pandemia da qui a breve, come ha spiegato l’Organizzazione mondiale della sanità.
I MILIONI PER L’OMS
E proprio l’Oms è finita sotto accusa per debolezza verso la Cina all’inizio della crisi poi allargatasi a macchia d’olio in tutto il mondo. Ieri il direttore generale dell’Organizzazione, Tedros Ghebreyesus, ha confermato il rallentamento cinese sottolineando che “dei circa 80.000 contagiati in Cina, oltre il 70% sono guariti e sono stati dimessi”. E l’ha fatto proprio nel giorno in cui il portavoce del ministero degli Esteri di Pechino, Geng Shuang, ha annunciato che la Cina donerà 20 milioni di dollari all’Oms per sostenere la lotta globale contro l’epidemia di coronavirus e a contribuire alla costruzione di sistemi sanitari pubblici nei Paesi in via di sviluppo di medie e piccole dimensioni, che hanno strutture mediche spesso fragili.