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Dalle mascherine agli asset strategici. Perché la Cina vicina non conviene

Abbiamo acquistato 1000 ventilatori in Cina, più tute e mascherine. C’era disponibilità nel Paese asiatico, dopo la grande emergenza vissuta a Wuhan e nella provincia dell’Hubei, e dunque l’iniziativa commerciale è stata profittevole per entrambi i Paesi. Raccontarla però come un regalo, come prova a fare da tre giorni il ministro degli Esteri Luigi Di Maio e l’intero M5S, è un tentativo malcelato di costruire un rapporto speciale con una superpotenza che non cerca amici, ma tenta di espandere in Europa la propria sfera di influenza.

Nel giorno in cui l’Unione Europea minaccia una procedura d’infrazione a carico di Francia e Germania per il blocco sull’export di mascherine, la conferenza stampa di un raggiante Giggino o‘ cinese che annuncia l’arrivo della fornitura è stata la rappresentazione plastica di una sgangherata strategia di riposizionamento geopolitico. Un tentativo pericoloso e irresponsabile per l’Italia.

La più grande crisi della nostra generazione, arrivata inaspettata nella forma di un virus, sta mostrando l’insufficienza e la debolezza di un’Europa degli Stati ognun per sé, incapaci di coordinamento, di una visione comune e di strumenti adeguati ad affrontare insieme le grandi minacce globali, di cui il coronavirus è la più importante finora avuta, ma non necessariamente l’ultima. Dopo l’harakiri di credibilità di Christine Lagarde dell’altro ieri a mercati aperti, ieri alti esponenti della Bce e la presidente della Commissione Europea hanno usato parole esplicite di sostegno incondizionato alle economie dell’area euro (anche nella forma degli aiuti di Stato), fornendo una dose di relativa fiducia ai mercati. Eppure, la retorica del governo italiano continua a privilegiare il racconto straccione di un Paese che ha ricevuto un dono da Sua Grazia Xi Jinping.

Nei prossimi mesi – è una scommessa di chi scrive – Pechino proverà a giocare un ruolo molto più incisivo, quello di prestatore e di investitore in titoli di Stato e in asset strategici dei Paesi europei piegati dalla crisi del coronavirus. La retorica abbandonerà le mascherine e andrà direttamente sul racconto di una Cina che dà fiducia all’Italia indebitata e che le consente di fare quello che a quasi tutti i partiti italiani è facile proporre: più spesa pubblica.

Siccome nulla è gratis, nemmeno una mascherina, è opportuno che nel giorno della retorica pro-Pechino ci sia chi provi a tenere la barra dritta: la Repubblica Popolare Cinese è e resta un regime autoritario, che persegue un disegno egemonico globale e che esporta un modello di società insostenibile, in termini sociali, ambientali e di rispetto dei diritti umani. A questo modello – al di là delle strategie di contenimento di un virus – non dobbiamo nemmeno lontanamente pensare di avvicinarci o assoggettarci.

Il governo cinese che oggi Di Maio esalta (con il Partito Democratico che segue la sua scia, ormai in piena sindrome di Stoccolma) è lo stesso che per settimane ha tenuto nascosto al mondo la reale portata del virus che stava affliggendo una sua provincia. È lo stesso che sta affermando con la minaccia militare la sua egemonia nelle zone contese del Mar Cinese Meridionale. È lo stesso che reprime l’opposizione interna, impone la censura al web e sta realizzando scientificamente il genocidio culturale tibetano.

Di fronte a questo modello, noi vogliamo provare ad affermare la verità dei fatti. L’Europa che non sta funzionando in questa stagione tremenda è l’Europa intergovernativa, quella in cui ogni Paese fa per sé, illudendosi di essere migliore, più furbo o più fortunato degli altri. Ma se questa Europa non funziona, la soluzione non è quella di farsi vassalli di Pechino o di Mosca. Semmai, è di affermare la necessità di un’Europa autenticamente federale e unita, che metta gli interessi dei suoi cittadini al centro, la loro vita, la salute, la libertà e il benessere. Di questa Europa, e di un suo racconto positivo, c’è enormemente bisogno. E persino rispetto all’Europa che non funziona, quella che c’è, dobbiamo essere in grado di affermare la verità: sarà la Bce l’unica vera ancora di salvezza dell’economia italiana durante e dopo questo shock tremendo; è l’euro la moneta che salva il valore dei nostri risparmi, non certo una improbabile liretta o dei minibot fatti di carta straccia; il piano da 37 miliardi di euro messo in campo dalla Commissione Europea (rispetto a un bilancio risicato della Ue, perché gli Stati non hanno voluto irrobustirlo) darà respiro alle politiche di ricerca sanitaria, di innovazione tecnologica e di sicurezza.

Non basta, perché di fronte alla paralisi di Schengen e al “si salvi chi può dei singoli governi” l’Europa appare più che mai divisa e inerme. Abbiamo bisogno di una nuova e più forte Europa unita, e semmai di un’America che si svegli dal torpore isolazionista, non delle sirene mandarine.


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